i fratelli Dardenne girano un altro film di cinema della realtà, e non deludono.
è quasi un documentario, nella forma di un film di finzione.
ci sono tante storie di ragazze madri che sono accolte da una struttura pubblica che le assiste, le aiuta ad accettare i bambini, lasciando alle ragazze la possibilità di fare le loro scelte, senza giudicare.
c'è la ragazza (Perla) che non riesce a convincere il padre a vivere insieme, c'è la ragazza (Jessica) che vuole ritrovare e farsi accettare dalla madre che l'aveva abbandonata, e farle conoscere la bambina, c'è la ragazza (Julie) che si sposerà con il padre della bambina, dopo che entrambi sono riusciti a rinunciare alla tossicodipendenza, c'è la ragazza (Ariane) che non vuole vivere con la madre alcolista, c'è la ragazza (Naïma) che inizierà a fare il lavoro che ha sempre sognato, e poi ci sono le insostuibili puericultrici che le aiutano come se fossero loro figlie.
insomma, un film che non cerca la lacrima facile, ma mostra le cose come sono.
come sempre capita ai fratelli Dardenne anche Giovani madri è un film da non perdere, secondo me.
buona (materna) visione - Ismaele
…Baluardi
di una visione socialmente consapevole del cinema – orgogliosamente neorealisti
ma nel senso più corretto, non pittoresco o “panni sporchi” ma attenzione
totale, disponibilità all’ascolto della vita e della sua verità multiforme –
per i fratelli Dardenne Giovani Madri è
il miglior film da più di un decennio. Questo perché, finalmente, il duo trova
il modo di ricostruire con cura scrupolosa la dialettica tra individuo e
ambiente; la produzione più recente era troppo schiacciata sull’individuo e non
abbastanza aperta al racconto del contesto, per funzionare. Giovani
Madri è un dramma venato di speranza che racconta la maternità
nel modo più giusto – una tappa, fondamentale ma non esaustiva, nella vita
delle cinque bravissime, autentiche protagoniste – e che trova nella verità dei
corpi, accompagnati dallo sguardo vigile ma non intrusivo della macchina da
presa, il senso di un cinema in perfetto equilibrio tra intimismo e carica
politica.
…I cineasti si caricano sulle spalle le loro
protagoniste e, più che i corpi, sono i volti e le loro espressioni che
raccontano la loro storia e le loro reazioni, anche prima delle parole. Inoltre
stavolta Giovani madri recupera quella
luminosità di Due giorni,
una notte, lascia intravedere un
possibile orizzonte, anche nei tentativi di avvicinamento e nelle laceranti
separazioni. C’è sempre però un filo che unisce queste azioni contrastanti. Tra
quelle più intense, c’è la lettera che una delle ragazze scrive per la figlia
quando compirà 18 anni. Certo, è una scena appositamente costruita, dove i
Dardenne hanno dato precise indicazioni di regia alla ragazza per realizzarla.
Eppure i cineasti catturano quell’impulso che mescola la tristezza e la
felicità insieme, le difficoltà del presente e la speranza sul futuro. I drammi
segnano le vite delle protagoniste ma c’è comunque un confine sempre più labile
tra l’azione e il fuori-campo. Così, anche dei momenti apparentemente non
centrali, mostrano quei frammenti di un vento di libertà, sia narrativa sia
formale. Una giovane coppia, il motorino, le auto che suonano. È quasi un
ritorno agli spostamenti del giovanissimo apprendista meccanico di La promesse. Non è un ritorno alle origini. Oppure lo
è in parte. Quella programmaticità degli ultimi film è comunque superata. Non
c’è stato un restyling, né un nuovo metodo perché quello, al di là dei
risultati, ha comunque mantenuto una coerenza nella loro filmografia. Stavolta
è lo sguardo, cinematografico e morale, che è quello giusto. Anche per
questo Giovani madri è tra i loro film più ispirati.
C’è un nuovo film dei fratelli Jean-Pierre e Luc
Dardenne in sala. E non è di certo tra i più memorabili. La comunità
dei cinefili europei ci perdonerà, ma dopo trent’anni di visioni, tra cui tutti
i titoli dei maestri belgi, qualche distinzione andrà pur fatta. Giovani
Madri non vale mezza Rosetta o
mezzo Il figlio, ma nemmeno mezzo Tori
e Lokita. Mettiamo subito in chiaro cosa non funziona: la logica
dell’accumulo di storie, di linee narrative intersecabili, non è tra i pregi
dei Dardenne, anzi. Se la peculiarità del loro cinema è la pressione di sguardo
in semi-soggettiva, scavo totale su una figura centrale, un perno attorno al
quale brulicano poche e precise figure di contorno, quando si dà pari
importanza drammaturgica ad almeno cinque co-protagoniste e una marea di facce
secondarie l’approccio stilistico salta per aria. O meglio: si svuota di
energia e di senso. Capita…
…Non ha senso accusare i due fratelli di ripetizione, poiché il film
ripropone in maniera intelligente il loro mondo poetico, la loro cifra
stilistica all'insegna della sobrietà, della discrezione, con una macchina da
presa meno mobile ed esuberante rispetto a "Rosetta" e "Il
figlio", ma bisogna comunque osservare che a tratti ci sono alcune
notazioni un po' risapute, non tali da inficiare l'efficacia del disegno
complessivo dell'opera. Al festival di Cannes stavolta i due fratelli
hanno vinto il premio per la sceneggiatura, l'ultimo di una lunga serie di
allori, ma in effetti il copione risulta strutturato in maniera giudiziosa,
riuscendo a dare il giusto spazio tanti personaggi e a tante storie che si
incrociano in una scrittura polifonica ben padroneggiata, certo non
particolarmente nuova, ma verrebbe da dire che non è necessario sempre essere
innovatori. Nel cast l'unico attore che sono riuscito a riconoscere è Fabrizio
Rongione, in una breve partecipazione, ma per il resto le attrici, che immagino
essere almeno in parte non professioniste, svolgono il loro compito con la
consueta sensibilità e con un'intensità che più volte lascia il segno, in
particolare Elsa Houben e Babette Verbeek.
Rispetto alle ultime prove degli autori, "Giovani madri" mi
sembra un passo in avanti, speriamo che se ne accorga anche il pubblico
italiano (l'ho visto in un cinema di Roma quasi deserto, nonostante fosse il
primo giorno di programmazione).
…Le
protagoniste sono adolescenti, e il film non lo dimentica mai: hanno voglia di
ballare, di scappare, di chiudersi in bagno col telefono, di innamorarsi, di
urlare. E il fatto che tutto questo debba convivere con l’arrivo di un neonato
crea una tensione che il film preferisce non mediare mai e invece lasciare
vibrare. La camera le segue nei loro tentativi di imparare a cambiare un
pannolino, nelle chiacchierate complici, nella ricerca costante di un appiglio.
E ogni volta che sembra arrivare un momento di tenerezza, la vita entra a gamba
tesa e rimette le cose in prospettiva. Anche se c’è ancora domani (pardon), un
futuro tutto da progettare, la porta aperta alla speranza.
Giovani madri commuove
nella semplicità con cui in fondo mostra una verità che tutti conosciamo ma che
evitiamo di affrontare: una madre che non ha mai potuto essere figlia fino in
fondo rischia di diventare una ferita che si replica, un trauma che non può che
diventare ereditario. Allora i Dardenne scelgono di mostrarci cosa significa
spezzare – o almeno provare a spezzare – quella catena senza però mai offrire
soluzioni, perché per la loro idea di cinema sarebbero un tradimento. E
torniamo a Perla, che vorrebbe rispondere «non ce la faccio, per me è troppo»,
ma riesce solo a dire «anche io piango, anche io ho fame». Di amore, di cura,
di riconoscimento. Ed è proprio quell’“anche io” a diventare la chiave del film
e a ricordarci che queste ragazze, prima di essere madri, sono ancora figlie
che chiedono una cosa semplicissima: essere viste.
Nessun commento:
Posta un commento