martedì 2 dicembre 2025

Armand - Halfdan Ullmann Tøndel

un problema scolastico come tanti, diventa nel corso del film uno psicodramma.

una cosetta da bambini si trasforma in una bomba che esplode nei rapporti fra i genitori, e con la scuola.

una povera maestra cerca di chiudere il problema con i genitori, ma non è così facile.

i bambini non appaiono, meno male, non sono loro il problema.

i bambini sono cugini, cioè le madri sono cognate, e hanno conti da risolvere.

il racconto della madre offesa viene "taroccato" per destabilizzare la cognata.

le attrici e gli attori sono bravi, esprimono bene la tensione della riunione, e il peso della responsabilità genitoriale.

non sarà un capolavoro, ma si vede bene.

buona (scolastica) visione - Ismaele 

 

 

 

 

un film che scava nelle dinamiche che intercorrono tra la scuola e le famiglie, tra le famiglie stesse e all'interno di ognuna di esse. Tøndel, che tra i suoi modelli di riferimento mette al primo posto Buñuel, si concede due sequenze che si staccano dallo stretto realismo ma riesce (grazie anche a un cast perfetto e, in particolare, a una straordinaria Renate Rensve nel ruolo della madre di Armand) ad offrire allo spettatore situazioni in cui il sorriso si mescola alla tensione creata da una situazione insolita ma possibile. È molto positivo poi che i due bambini non vengano coinvolti nella disputa, neppure in flashback. Sono le interpretazioni degli adulti che stanno al centro della scena, con le proiezioni che emergono dal loro vissuto relazionale che vengono sottoposte alla valutazione dello spettatore chiamato, come i personaggi sullo schermo, a cercare di capire dove stia la verità. Chi tra gli spettatori ha fatto parte del corpo docente avrà in più l'occasione di confrontarsi con quanto direttore ed insegnante cercano di porre in atto per arrivare a un risultato condiviso e chiedersi come avrebbe agito in una situazione analoga. Fino ad arrivare ad un epilogo forse atteso. O forse no.

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Armand si configura ben presto come una Via Crucis in cui le colpe sono stazioni di un Calvario da espiare, in cui i fardelli che ogni umano si porta addosso sono le armi non convenzionali di una continua sfida. Ha ragione Federico Gironi, nella sua recensione da Cannes, a sottolineare l’anima urticante del film. Tutti i personaggi sono caricati di una tensione “nera” che sa renderli insopportabili, in qualche modo colpevoli a priori. In Armand si scontrano – coalizzandosi e poi abbandonandosi per coalizzarsi ancora – anime contrapposte. La presunta cristallina purezza di una classe docente che per amor di trasparenza cerca l’insabbiamento; una coppia apparentemente lucida che si perde in respiri di vendetta; una mater dolorosa (Renate Reinsve, al solito magnifica) che, oberata dai sensi di colpa, punta a un’impossibile redenzione.

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Un non-luogo mentale, una sorta di inconscio collettivo in cui segreti e bugie si ramificano e le verità nascoste man mano emergono, ma mai in modo diretto, bensì negli sguardi ambigui, nel non detto o nel sottaciuto, dirottate da improvvise esplosioni di psicodramma, o da coreografie di teatrodanza (straordinario il balletto disarticolato da “bambola meccanica” di Renate Reinsve). Alquanto ambizioso, dunque, l’intento di Halfdan Ullmann Tøndel, fin troppo dimostrativo, da primo della classe, nel momento in cui l’ordito di questo simbolismo urlato si pone troppo in rilievo rispetto alla narrazione, finendo col soffocare le emozioni…

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I dialoghi non paiono mai decollare al di sopra di un canovaccio di illazioni e tic psicolinguistici, che fanno da anticamera all’utilizzo, che in "Armand" diventa quasi un abuso, di scene madri. Come l’attacco di "ridarella" di svariati minuti accorso a Elizabeth, preludio a una crisi di nervi, che Renate Reinsve prova a rendere credibile ma, pur riuscendoci, il palese intento di provocare fastidio allo spettatore non fa altro che ribadire la sua forzata intenzionalità. Oppure il balletto con cui la stessa Elizabeth si accompagna a un inserviente della scuola, i corpi che si accavallano in un’orgia superficiale, le mani che si protendono verso la protagonista superando persino l’allucinazione collettiva. Proprio in queste sequenze possiamo riscontrare alcuni riferimenti: a parere di chi scrive, non al cinema scandinavo pare guardare Halfdan Ullmann Tøndel, bensì ad alcuni episodi perturbanti di un certo cinema autoriale…

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Un quadro reso instabile dal progressivo emergere delle nevrosi dei protagonisti, risate nervose ed incontrollate, scatti d’ira, imbarazzi. E che si trasforma in un dibattimento processuale dove sotto accusa è la madre, per il suo stile di vita emancipato ed un comportamento giudicato da una società ancora bigotta. Un esordio con ampi margini di miglioramento, ma già un ottimo biglietto da visita. Da Renate Reinsve arriva invece una conferma, in un ruolo meno basato sul coinvolgimento fisico,  con maggiore gestualità ed espressività del volto. Lascia invece perplessi il finale, allusivo, metaforico, ed anche superfluo nel mettere il punto a quanto già mostrato in precedenza.

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Nonostante non sia sempre a fuoco nei suoi percorsi ondivaghi, Armand rimane un’operazione coinvolgente, in particolar modo grazie alle interpretazioni impeccabili del cast. Reinsve si riconferma una delle attrici più talentuose del panorama cinematografico nordico, navigando con abilità tra i registri emotivi di un personaggio complesso e insondabile, ma anche le interpretazioni di Ellen Dorrit Petersen e di Endre Hellestveit – nei panni dei genitori dell’altro bambino coinvolto – offrono una controparte emotiva altrettanto valida, arricchendo il film di sfumature sottili e di conflitti inespressi.

Con il suo debutto, Halfdan Ullmann Tøndel dimostra un’indubbia maestria tecnica e un coraggio creativo. Tøndel rivela un talento istintivo nel manipolare il linguaggio visivo per esplorare i confini tra realtà e immaginazione, non offrendo mai risposte chiare o sicure, bensì insinuando nella mente dello spettatore le sue immagini incerte (pensiamo, tra le tante, al giubbotto rosso di un bambino, appeso nel corridoio della scuola), le quali si impongono come sparuti frammenti di senso caratterizzati da una forza insolita, dall’aura misterica, simbolica, liminale.

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