martedì 5 agosto 2025

Anni facili – Luigi Zampa

dopo la guerra, un professore si trasferisce con la famiglia dalla Sicilia a Roma, lo stipendio è basso, è dura mantenere la famiglia, ma a Roma farà un lavoretto per integrare le entrate familiari, facendo il rappresentante/lobbista/corruttore a favore di un prodotto farmaceutico del suo ex padrone di casa siciliano, fascista nell'anima e di fatto.

avventure di un poveraccio che deve tradire la sua coscienza.

eccezionale la visita al castello!

da non perdere.

buona (fascista) visione - Ismaele

 

 

QUI o QUI si può vedere il film completo

 

 

 

Dopo gli anni difficili, ecco quelli cosiddetti facili. L’accetta della censura rimane affilata anche nella fresca democrazia, mutilando questo caustico e coraggioso film di Zampa, necessario a chiarire come non si sia tutto facilmente risolto con la fine del Ventennio. Le lotte di potere procedono con gli usuali servilismi, corruzioni e abusi. Tagliare la testa al pesce che puzzava non ha mutato gli italiani: il corpo ha conservato l'odore. La magra consolazione è che ora si può cominciare a raccontarne il marcio in un modo però alterato dall’alto e inevitabilmente sconnesso.

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Amaro apologo sull'Italia corrotta e corruttibile, sugli strascichi del fascismo e della monarchia, condotta da Zampa con mano a dire il vero un po' troppo pesante ma comunque apprezzabile e che regala anche qualche sorriso (soprattutto nella trafila ministeriale a cui è costretto il protagonista nella prima parte). Molto bravo Taranto, dimesso e misurato, sul quale si poggia gran parte del film e che forse mai più si è ripetuto in una simile performance. Buono.

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Film quasi dimenticato, come d’altronde è garbatamente dimenticato il suo regista, eppure non solo bello, ma anche interessante da un punto di vista storico. Vitaliano Brancati lo scrisse dopo Anni difficili, scegliendo di raccontare ancora una volta la zona grigia del ceto medio-basso, che non sempre si schiera o può schierarsi politicamente, e che rappresenta certamente la maggioranza degli italiani: al centro della scena c’è, appunto, un modesto insegnante di origini siciliane, coattamente trasferitosi a Roma per le smanie delle famigliari e costretto a fare da rappresentante commerciale ad un trafficone barone con passato fascista e presente trasformista.

Fin qui non ci sarebbe niente di strano. E invece no. Il film ebbe tantissime noie con la censura democristiana sin dalle prime stesure della sceneggiatura, e i motivi sono presto detti. Il pungente Brancati racconta con satirica sottigliezza argomenti tabù del dopoguerra italiano: la rappresentazione di un partito di governo che, al di là della figura del sottosegretario Rapisarda, media in favore di se stesso; di un apparato statale sempre in mano ai transfughi fascisti; di una burocrazia lenta, idiota, macchinosa ed inutile; di una vicenda umana di un povero cristo che non fa onore ad una classe dirigente senza principi

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Le scelte operate da Zampa e Brancati, apparentemente stridenti tra loro, si rivelano felici e ispirate: quanto più, infatti, i fendenti satirici che lo scrittore dispensa ai nostalgici del ventennio e agli intrallazzatori del presente raggiungono con efficacia i loro destinatari, le virate del film nella commedia di costume e nel bozzettismo ne stemperano con bonarietà di toni la virulenza più pungente (che causerà ad Anni facili la bocciatura in commissione di censura), senza eccedere nel moralismo e nella caricatura (difetti, invece, ascritti al film dai detrattori dell'epoca), ma servendosene, invece, per accanirsi maggiormente sull'inerme protagonista del film e sgretolarne ogni residuo di resistenza. Ne emerge un ritratto garbato e vibrante, sapientemente orchestrato da Zampa (pur senza raggiungere le vette di Processo alla città) tra sdegno civile, impennate sarcastiche e irresistibili siparietti umoristici: dai toni sferzanti dell'incipit al primo giorno di lezione di Taranto al liceo romano ("Come mai siete rimaste così indietro?"...), dalla sua estenuante odissea tra uffici, ministeri, tram affollati e code interminabili, al paradossale dramma dell'anziano reduce della guerra d'Africa, ancora in attesa che gli venga riconosciuta la pensione, fino al raduno segreto dei nostagici in camicia nera, allo sketch teatrale di Riccardo Billi e Mario Riva e ai toni malinconici che ammantano il finale. Nel cast, oltre all'intensa e superlativa prestazione di Nino Taranto (premiato con il Nastro d'Argento come miglior attore protagonista), si segnalano anche uno spassoso Gino Buzzanca, Alda Mangini, una giovanissima Giovanna Ralli, Checco Durante e, nella parte del giudice, Domenico Modugno.

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