bravi tutti, ma il film non convince troppo, non riesce a coinvolgere chi guarda, resta un film freddo, ottima la fotografia, come la musica, ma...
buona (fredda ) visione - Ismaele
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…Contro il cinema italiano della buonanotte Roberta
Torre regala un’ossessione sincera sottoforma di incubo dai colori del buio,
con la cupa sospensione di Twin Peaks e la stringente lucidità di Luci nella notte (un altro percorso, concreto e/o
immaginario, alla cui meta è arduo ritrovarsi), e la critica ha sparato su
questo film: sarà perché ignora il cappio dell’intreccio, non ha inizio né
fine, consegna durrenmattianamente l’omicida a metà e si concede totalmente al dato
onirico, in un finale d’antologia a tanti livelli, che rigira tra l’altro la
sciabola nell’eterno, doloroso conflitto uomo/donna con paurosa efficacia.
Interpreti maiuscoli, da Lo Cascio stravolto alla sfuggente Mouglalis,
fotografia da camera oscura di Daniele Ciprì e infallibile base ipnotica di
Shigeru Umebayashi. Una perla nera, più sfrontata e splendente dei sorrisi
contraffatti che siamo condannati ad ingoiare.
La
Torre non è una regista "facile" e lo dimostra con questo film;
criticabilissimo quanto volete (i punti deboli sono molti: da Lo Cascio alle
ambientazioni, dalla sceneggiatura abbastanza sfilacciata alla regia un po'
pretenziosa) eppure affascinante: la fotografia specialmente, con quel blu
quasi irreale, è magica e le inquadrature, i giochi di sguardi ed alcune scene
sono davvero registicamente memorabili (il parcheggio, il locale di scambisti).
Resta il disappunto per un prodotto potenzialmente bellissimo ma reso involuto
e male sviluppato.
…dove Mare nero compromette quasi del tutto la propria credibilità è sul
versante drammaturgico: il trattamento ellittico e misurato della materia
narrativa è clamorosamente contraddetto da dialoghi fastidiosamente forzati (la
maggior parte delle conversazioni tra Luca e Veronica sono da antologia
dell’improbabile) e da una recitazione spaventosamente artificiosa. La
Mouglalis e Lo Cascio non soltanto non sembrano in parte, ma risultano
tremendamente impostati perfino quando si lavano i denti o si rotolano sul
letto accapigliandosi. Il problema purtroppo non si limita a loro: chiunque
entri in una qualsiasi delle inquadrature assume automaticamente posture rigide
e affettate, adeguando la recitazione all’innaturalezza dell’atteggiamento
corporeo. Il culmine dell’artificiosità si raggiunge nelle sequenze ambientate
nella centrale di polizia, dove gli attori ripresi frontalmente ostentano una
teatralità che, anche se fosse voluta, risulta francamente irricevibile,
finendo per disintegrare la credibilità residua della pellicola. È un autentico
peccato, ché, a tratti, Roberta Torre mostra di saper dipingere squarci di
inquietante enigmaticità a colpi di cinepresa. Restano frammenti di cinema
prezioso e la sensazione di un film ferocemente irrisolto.
Mare nero si apre sul Satiro danzate, un’antica statua
sinuosa ritrovata tempo fa nel mare della Sicilia. Roberta Torre la vide poco
dopo che era stata ripescata, immersa in una vasca di acido che la ripuliva, e
ne rimase affascinata: «È stata un’attrazione forte, irresistibile… Ti perdi
quando la guardi… Mi piaceva iniziare il film da un ritrovamento che arriva dal
fondo del mare… È il ”dionisiaco“ in cui si immerge il protagonista, l’inizio
del suo viaggio». Incipit suggestivo, non c’è che dire. Senonché, subito dopo,
veniamo sbalzati in un’asettica realtà metropolitana, dove il protagonista, un
ispettore di polizia, si immerge in un ”dionisiaco“ molto particolare, oscuro,
ritroso, sadomasochistico, nel quale mescola le immagini della ragazza uccisa
sulla quale sta indagando con quelle della fidanzata francese con la quale ha
appena cominciato a convivere. Ambizioso e irrisolto, Mare nero non colpisce il bersaglio, non affonda nelle
patologie del protagonista e del mondo che lo circonda, non riesce a renderci
partecipi dei suoi dilemmi. Le sceneggiatrici (la Torre e Heidrun Schleef)
osservano la psicologia maschile dall’alto e semplificano quella femminile,
servite male anche dai due protagonisti, improbabili. Troppo cristallo, troppo
minimalismo, troppa patinatura alla Helmut Newton (ma di seconda scelta, basti
pensare alla scena, piuttosto ridicola, del partouze con la coppia borghese).
Pochissima autentica ossessione.
Film controverso e poco riuscito. Nel tentativo di firmare
un noir con pretese autoriali il regista costruisce una trama dai toni cupi,
artificiosamente malati, ma poco coinvolgenti. Il viaggio che il protagonista
intraprende, alla scoperta della depravazione sommersa, sembra voler citare
altri illustri (ma riusciti) predecessori di celluloide. Quì però tutto scade
nalla banalità, nel ridicolo, nella noia. Sprecato e imbarazzato Lo Cascio.
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