sabato 23 agosto 2025

Mare nero – Roberta Torre

bravi tutti, ma il film non convince troppo, non riesce a coinvolgere chi guarda, resta un film freddo, ottima la fotografia, come la musica, ma...

buona (fredda ) visione - Ismaele

 

 

QUI o QUI si può vedere il film completo su Raiplay

 

  

Contro il cinema italiano della buonanotte Roberta Torre regala un’ossessione sincera sottoforma di incubo dai colori del buio, con la cupa sospensione di Twin Peaks e la stringente lucidità di Luci nella notte (un altro percorso, concreto e/o immaginario, alla cui meta è arduo ritrovarsi), e la critica ha sparato su questo film: sarà perché ignora il cappio dell’intreccio, non ha inizio né fine, consegna durrenmattianamente l’omicida a metà e si concede totalmente al dato onirico, in un finale d’antologia a tanti livelli, che rigira tra l’altro la sciabola nell’eterno, doloroso conflitto uomo/donna con paurosa efficacia. Interpreti maiuscoli, da Lo Cascio stravolto alla sfuggente Mouglalis, fotografia da camera oscura di Daniele Ciprì e infallibile base ipnotica di Shigeru Umebayashi. Una perla nera, più sfrontata e splendente dei sorrisi contraffatti che siamo condannati ad ingoiare.

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La Torre non è una regista "facile" e lo dimostra con questo film; criticabilissimo quanto volete (i punti deboli sono molti: da Lo Cascio alle ambientazioni, dalla sceneggiatura abbastanza sfilacciata alla regia un po' pretenziosa) eppure affascinante: la fotografia specialmente, con quel blu quasi irreale, è magica e le inquadrature, i giochi di sguardi ed alcune scene sono davvero registicamente memorabili (il parcheggio, il locale di scambisti). Resta il disappunto per un prodotto potenzialmente bellissimo ma reso involuto e male sviluppato.

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dove Mare nero compromette quasi del tutto la propria credibilità è sul versante drammaturgico: il trattamento ellittico e misurato della materia narrativa è clamorosamente contraddetto da dialoghi fastidiosamente forzati (la maggior parte delle conversazioni tra Luca e Veronica sono da antologia dell’improbabile) e da una recitazione spaventosamente artificiosa. La Mouglalis e Lo Cascio non soltanto non sembrano in parte, ma risultano tremendamente impostati perfino quando si lavano i denti o si rotolano sul letto accapigliandosi. Il problema purtroppo non si limita a loro: chiunque entri in una qualsiasi delle inquadrature assume automaticamente posture rigide e affettate, adeguando la recitazione all’innaturalezza dell’atteggiamento corporeo. Il culmine dell’artificiosità si raggiunge nelle sequenze ambientate nella centrale di polizia, dove gli attori ripresi frontalmente ostentano una teatralità che, anche se fosse voluta, risulta francamente irricevibile, finendo per disintegrare la credibilità residua della pellicola. È un autentico peccato, ché, a tratti, Roberta Torre mostra di saper dipingere squarci di inquietante enigmaticità a colpi di cinepresa. Restano frammenti di cinema prezioso e la sensazione di un film ferocemente irrisolto.

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Mare nero si apre sul Satiro danzate, un’antica statua sinuosa ritrovata tempo fa nel mare della Sicilia. Roberta Torre la vide poco dopo che era stata ripescata, immersa in una vasca di acido che la ripuliva, e ne rimase affascinata: «È stata un’attrazione forte, irresistibile… Ti perdi quando la guardi… Mi piaceva iniziare il film da un ritrovamento che arriva dal fondo del mare… È il ”dionisiaco“ in cui si immerge il protagonista, l’inizio del suo viaggio». Incipit suggestivo, non c’è che dire. Senonché, subito dopo, veniamo sbalzati in un’asettica realtà metropolitana, dove il protagonista, un ispettore di polizia, si immerge in un ”dionisiaco“ molto particolare, oscuro, ritroso, sadomasochistico, nel quale mescola le immagini della ragazza uccisa sulla quale sta indagando con quelle della fidanzata francese con la quale ha appena cominciato a convivere. Ambizioso e irrisolto, Mare nero non colpisce il bersaglio, non affonda nelle patologie del protagonista e del mondo che lo circonda, non riesce a renderci partecipi dei suoi dilemmi. Le sceneggiatrici (la Torre e Heidrun Schleef) osservano la psicologia maschile dall’alto e semplificano quella femminile, servite male anche dai due protagonisti, improbabili. Troppo cristallo, troppo minimalismo, troppa patinatura alla Helmut Newton (ma di seconda scelta, basti pensare alla scena, piuttosto ridicola, del partouze con la coppia borghese). Pochissima autentica ossessione.

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Film controverso e poco riuscito. Nel tentativo di firmare un noir con pretese autoriali il regista costruisce una trama dai toni cupi, artificiosamente malati, ma poco coinvolgenti. Il viaggio che il protagonista intraprende, alla scoperta della depravazione sommersa, sembra voler citare altri illustri (ma riusciti) predecessori di celluloide. Quì però tutto scade nalla banalità, nel ridicolo, nella noia. Sprecato e imbarazzato Lo Cascio.

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