domenica 3 agosto 2025

La vita possibile – Ivano Di Matteo

una donna fugge col figlio, per salvarsi da un marito molto violento, da Roma a Torino. Lì trova un equilibrio, non è facile, ma ci prova.

Valerio, il figlio, continua a vedere altre cose brutte, si affeziona a una puttana dell'Est Europa, Larissa.

succedono tanti piccoli episodi, ostacoli da superare per trovare una strada, e la mamma e il figlio riescono a parlarsi e a volersi bene.

non è un film perfetto, ma si vede bene.

buona (torinese) visione - Ismaele

 

  

QUI il film completo, su Raiplay



 

La vita possibile è una storia di grandi solitudini: quella di Valerio, prima di tutte, che deve affrontare un mondo del tutto nuovo in momenti di enorme fragilità, ma anche quella di Anna, ovviamente, e di Carla, che ha fallito nel lavoro e nella vita sentimentale. La relazione tra Valerio e Anna, le tensioni, gli affetti, sono rappresentati nel loro processo, nel conflitto e nel consolidamento.

Bellissimo il rapporto che Claudia riesce a stabilire con Valerio, quello dell’insolita zia, che può godere di una complicità negata alla madre: intese fatte di permissivismo, responsabilità poca, se non quella del voler bene. Lo dichiara tranquillamente, Carla: «Non avrei mai potuto essere madre, perché voi mamme siete cattive! ».

Forte poi il legame tra le due donne, diversissime tra loro nelle loro diverse nevrosi che si rispecchiano, e, invece di amplificarsi, un po’ si stemperano, trovando pace l’una nell’altra.

Bellissima infine l’amicizia tra Valerio e il vicino di casa, Mathieu (Bruno Todeschini). Da parte dell’uomo maturo c’è una sorta di sana protezione, ma anche di leggerezza, tanto che l’unica volta che Valerio ride felice è proprio per un gioco insieme a Mathieu. Anche lui è molto solo, ostaggio di un amaro passato, oltre che ingiusto, e nella condizione di straniero, considerato bizzarro solo perché parla con i gatti.

Quattro allora sono le desolazioni che si affrontano e confrontano, si avvicinano, in aperture che tendono poi a richiudersi, fino a sfiorare l’isolamento. E ce n’è un’altra ancora, quella di Larissa, la giovanissima prostituta dell’Est di cui Valerio si innamora, e della quale cerca a tutti i costi la confidenza…

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Dopo aver subito l'ennesima raffica di violenza da suo marito, Anna (Buy) decide di lasciare Roma insieme al figlio tredicenne Valerio (Pittorino) per trasferirsi a Torino. Qui i due vengono ospitati da Carla (Golino), un'amica un po' svitata di Anna con ambizioni in campo teatrale. Anna dovrà ricominciare daccapo, trovando lavoro come donna delle pulizie in una grande azienda; Valerio faticherà a integrarsi, eleggerà a sua unica amica una prostituta dell'Est (Shulha) e troverà nel gestore dell'osteria sotto casa (Todeschini) un valido sostituto della figura paterna.
Dopo le ottime prove de Gli equilibristi e I nostri ragazzi, De Matteo continua a sondare gli umori della famiglia puntando lo sguardo su un tema di grande attualità come quello della violenza sulle donne. Lo fa con piglio sociologico, mostrando ancora una volta di saper padroneggiare perfettamente la direzione degli attori e di essere capace di imprimere brusche variazioni al ritmo con l'inserimento di scene madri impeccabili, mantenendo un registro intimista e minimale, nel quale, col l'eccezione della prima sequenza (che ci riporta all'incipit del film precedente), la violenza rimane quasi sempre fuori campo, pur serpeggiando continuamente sotto gli occhi del giovane, bravissimo protagonista. Un film minore, pudico, vagamente didascalico nella sottolineatura della complicità tra persone ai margini (il tredicenne e la prostituta), ma capace di trattare il tema principale evitando la pornografia dei sentimenti.

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L'epilogo del film a mio avviso poteva esser piu' "complesso" e l'ho trovato troppo tagliato quasi di netto per andare velocemente incontro ad un finale di speranza che è poi in sostanza un "lieto fine". Protagonisti assoluti una magnifica Margherita Buy, che impersona -abbandonando alle spalle la sua galleria di mogli cornificate e nevrotiche- una donna in forte crisi che lotta come una leonessa per non farsi abbattere da un destino avverso. Poi subito dopo viene il giovanissimo Andrea Pittorino, davvero molto bravo. Poi abbiamo una discreta Valeria Golino. E ancora Bruno Todeschini nel ruolo dell'oste francese dal passato burrascoso e infine la bellissima Caterina Shulha nel ruolo della prostituta dell'est. Il film non è affatto perfetto ma si lascia vedere volentieri, non privo di difetti ma sufficientemente gradevole.

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Pur assicurandosi una buona dose di verosimiglianza attraverso le performance dei suoi attori De Matteo procede in totale controtendenza rispetto a buona parte del nostro cinema d'autore optando per una messinscena anti naturalistica che interiorizza la vicenda sincronizzandola ai cambi d'umore dei protagonisti. Da cui l'utilizzo di una fotografia iperrealistica e desaturata, fatta di cromie intermedie che esaltano la dimensione transitoria di personaggi perennemente in bilico tra il passato e il presente delle loro vite. E soprattutto l'inserimento di passaggi di pura contemplazione quasi sempre chiamati a rispecchiare la solitudine delle parti in causa; rintracciabile, quest'ultima, in certi squarci del paesaggio autunnale che nell'indifferente ciclicità del suo divenire (e per esempio nell'incessante fluire delle acque del Po o in certe panoramiche notturne) sembra voler frustrare, acuendolo, il bisogno di appartenenza dei due transfughi. Oppure nella mancanza della figura paterna riflessa metaforicamente nella scena in cui Valerio osserva Mathieu - il ristoratore francese che vive nel quartiere - intento a prendersi cura di un gruppo di gatti randagi; per non dire dell'alienazione di Carla costretta dal bisogno di soldi ad accettare un lavoro presso una ditta di pulizie e per questo filmata (in campo lungo) in modo che l'esasperazione volumetrica degli uffici in cui lavora riesca a rendere il senso di vuoto che attanaglia l'esistenza della donna. Così facendo "La vita possibile" assume in parte i toni di un racconto favolistico di cui situazioni e personaggi smettono di essere persone reali per diventare gli elementi di un dispositivo costruito per archetiipi. In questo modo Carla, Mathieu e anche la giovane prostituta di cui a un certo punto Valerio diventa amico pur appartenendo al mondo reale non riescono a parteciparvi in maniera completa in ragione di un contributo che appare insufficiente tanto nella prima sezione, quando a prevalere sono gli aspetti cronachistici e pragmatici della vicenda, quanto nella seconda, in cui a farla da padrone è invece una visione ideale delle cose. Ma la convinzione di avere assistito a qualcosa d'incompiuto e di essere in debito per le cose che "La vita possibile" non è riuscita a dirci (in relazione al tema centrale del film) appartiene anche alla modalità della struttura narrativa che dapprima promette di aprirsi al contesto umano e sociale che ruota intorno al centro della storia, affidando all'interazione tra questo e i protagonisti il compito di far progredire la trama e che poi - come dicevamo sopra - vi rinuncia, trasformando tale esperienza in un' estensione emotiva di Anna e Valerio.

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La vita possibile si presentava dunque già in fase di sceneggiatura come un’ottima occasione per condurre il discorso un passo oltre, scandagliando una volta di più con durezza l’Italia solo all’apparenza bene. Se le buone intenzioni rimangono per lo più sulla carta, la “colpa” non è certo attribuibile ai caratteri protagonisti: Anna e Carla, grazie anche all’ottimo lavoro di Buy e Valeria Golino, sono due personaggi sfaccettati, ricchi delle necessarie ambiguità, umani. E De Matteo ben coglie la necessità di non approfondire in maniera eccessiva la storia dei personaggi, lasciando allo spettatore il compito di accedere al loro “mistero”.
Un’attenzione simile in fase di scrittura cozza purtroppo con una descrizione d’ambiente meno compatta e a fuoco del solito, quasi che De Matteo sia vittima dello stesso spaesamento che attanaglia Anna, costretta a ripartire da zero portando su di sé cicatrici non solo metaforiche, in una città in cui si sente aliena. Se Torino sembra una location adatta alle esigenze del film (e non solo per la presenza della film commission), La vita possibile arranca proprio quando si approssima a un altro topos di De Matteo: la coralità. Le sottotrame che dovrebbero irrobustire La vita possibile, proponendo uno spaccato delle classi sociali fondamentale per la lettura etica del film, finiscono invece per confondere lo spettatore, deviando lo sguardo verso traiettorie quasi smarrite, confuse, disperse in un magma indistinto.
Ne viene fuori un’opera squilibrata, che si regge solo sulle spalle – per fortuna forti – delle due attrici protagoniste, ma non riesce a incidere quanto dovrebbe, ed era senza dubbio nelle intenzioni. Tra situazioni inessenziali e reiterazioni poco convincenti, quel che rimane negli occhi è solo il messaggio, o come lo si vuol chiamare. Lodevole, per carità. Ma sarebbe stato lecito pretendere di più; le occasioni, per De Matteo, non mancheranno.

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