una donna fugge col figlio, per salvarsi da un marito molto violento, da Roma a Torino. Lì trova un equilibrio, non è facile, ma ci prova.
Valerio, il figlio, continua a vedere altre cose brutte, si affeziona a una puttana dell'Est Europa, Larissa.
succedono tanti piccoli episodi, ostacoli da superare per trovare una strada, e la mamma e il figlio riescono a parlarsi e a volersi bene.
non è un film perfetto, ma si vede bene.
buona (torinese) visione - Ismaele
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… La vita possibile è
una storia di grandi solitudini: quella di Valerio, prima di tutte, che deve affrontare
un mondo del tutto nuovo in momenti di enorme fragilità, ma anche quella di
Anna, ovviamente, e di Carla, che ha fallito nel lavoro e nella vita
sentimentale. La relazione tra Valerio e Anna, le tensioni, gli affetti, sono
rappresentati nel loro processo, nel conflitto e nel consolidamento.
Bellissimo il rapporto che Claudia riesce
a stabilire con Valerio, quello dell’insolita zia, che può godere di una
complicità negata alla madre: intese fatte di permissivismo, responsabilità
poca, se non quella del voler bene. Lo dichiara tranquillamente, Carla: «Non
avrei mai potuto essere madre, perché voi mamme siete cattive! ».
Forte poi il legame tra le due donne,
diversissime tra loro nelle loro diverse nevrosi che si rispecchiano, e, invece
di amplificarsi, un po’ si stemperano, trovando pace l’una nell’altra.
Bellissima infine l’amicizia tra Valerio e
il vicino di casa, Mathieu (Bruno Todeschini).
Da parte dell’uomo maturo c’è una sorta di sana protezione, ma anche di
leggerezza, tanto che l’unica volta che Valerio ride felice è proprio per un
gioco insieme a Mathieu. Anche lui è molto solo, ostaggio di un amaro passato,
oltre che ingiusto, e nella condizione di straniero, considerato bizzarro solo
perché parla con i gatti.
Quattro allora sono le desolazioni che si
affrontano e confrontano, si avvicinano, in aperture che tendono poi a
richiudersi, fino a sfiorare l’isolamento. E ce n’è un’altra ancora, quella di
Larissa, la giovanissima prostituta dell’Est di cui Valerio si innamora, e
della quale cerca a tutti i costi la confidenza…
Dopo aver subito l'ennesima raffica di violenza da suo
marito, Anna (Buy) decide di lasciare Roma insieme al figlio tredicenne Valerio
(Pittorino) per trasferirsi a Torino. Qui i due vengono ospitati da Carla
(Golino), un'amica un po' svitata di Anna con ambizioni in campo teatrale. Anna
dovrà ricominciare daccapo, trovando lavoro come donna delle pulizie in una
grande azienda; Valerio faticherà a integrarsi, eleggerà a sua unica amica una
prostituta dell'Est (Shulha) e troverà nel gestore dell'osteria sotto casa
(Todeschini) un valido sostituto della figura paterna.
Dopo le ottime prove de Gli equilibristi e I
nostri ragazzi, De Matteo continua a sondare gli umori della famiglia puntando
lo sguardo su un tema di grande attualità come quello della violenza sulle
donne. Lo fa con piglio sociologico, mostrando ancora una volta di saper
padroneggiare perfettamente la direzione degli attori e di essere capace di
imprimere brusche variazioni al ritmo con l'inserimento di scene madri
impeccabili, mantenendo un registro intimista e minimale, nel quale, col
l'eccezione della prima sequenza (che ci riporta all'incipit del film
precedente), la violenza rimane quasi sempre fuori campo, pur serpeggiando
continuamente sotto gli occhi del giovane, bravissimo protagonista. Un film
minore, pudico, vagamente didascalico nella sottolineatura della complicità tra
persone ai margini (il tredicenne e la prostituta), ma capace di trattare il
tema principale evitando la pornografia dei sentimenti.
…L'epilogo del film a mio avviso poteva esser piu'
"complesso" e l'ho trovato troppo tagliato quasi di netto per andare
velocemente incontro ad un finale di speranza che è poi in sostanza un
"lieto fine". Protagonisti assoluti una magnifica Margherita Buy, che
impersona -abbandonando alle spalle la sua galleria di mogli cornificate e
nevrotiche- una donna in forte crisi che lotta come una leonessa per non farsi
abbattere da un destino avverso. Poi subito dopo viene il giovanissimo Andrea
Pittorino, davvero molto bravo. Poi abbiamo una discreta Valeria Golino. E
ancora Bruno Todeschini nel ruolo dell'oste francese dal passato burrascoso e
infine la bellissima Caterina Shulha nel ruolo della prostituta dell'est. Il
film non è affatto perfetto ma si lascia vedere
volentieri, non privo di difetti ma sufficientemente gradevole.
…Pur assicurandosi una buona dose di verosimiglianza
attraverso le performance dei suoi attori De Matteo procede in totale
controtendenza rispetto a buona parte del nostro cinema d'autore optando per
una messinscena anti naturalistica che interiorizza la vicenda sincronizzandola
ai cambi d'umore dei protagonisti. Da cui l'utilizzo di una fotografia
iperrealistica e desaturata, fatta di cromie intermedie che esaltano la
dimensione transitoria di personaggi perennemente in bilico tra il passato e il
presente delle loro vite. E soprattutto l'inserimento di passaggi di pura
contemplazione quasi sempre chiamati a rispecchiare la solitudine delle parti
in causa; rintracciabile, quest'ultima, in certi squarci del paesaggio
autunnale che nell'indifferente ciclicità del suo divenire (e per esempio
nell'incessante fluire delle acque del Po o in certe panoramiche notturne)
sembra voler frustrare, acuendolo, il bisogno di appartenenza dei due
transfughi. Oppure nella mancanza della figura paterna riflessa metaforicamente
nella scena in cui Valerio osserva Mathieu - il ristoratore francese che vive
nel quartiere - intento a prendersi cura di un gruppo di gatti randagi; per non
dire dell'alienazione di Carla costretta dal bisogno di soldi ad accettare un
lavoro presso una ditta di pulizie e per questo filmata (in campo lungo) in
modo che l'esasperazione volumetrica degli uffici in cui lavora riesca a
rendere il senso di vuoto che attanaglia l'esistenza della donna. Così facendo
"La vita possibile" assume in parte i toni di un racconto favolistico
di cui situazioni e personaggi smettono di essere persone reali per diventare
gli elementi di un dispositivo costruito per archetiipi. In questo modo Carla,
Mathieu e anche la giovane prostituta di cui a un certo punto Valerio diventa
amico pur appartenendo al mondo reale non riescono a parteciparvi in maniera
completa in ragione di un contributo che appare insufficiente tanto nella prima
sezione, quando a prevalere sono gli aspetti cronachistici e pragmatici della
vicenda, quanto nella seconda, in cui a farla da padrone è invece una visione
ideale delle cose. Ma la convinzione di avere assistito a qualcosa d'incompiuto
e di essere in debito per le cose che "La vita possibile" non è
riuscita a dirci (in relazione al tema centrale del film) appartiene anche alla
modalità della struttura narrativa che dapprima promette di aprirsi al contesto
umano e sociale che ruota intorno al centro della storia, affidando
all'interazione tra questo e i protagonisti il compito di far progredire la
trama e che poi - come dicevamo sopra - vi rinuncia, trasformando tale
esperienza in un' estensione emotiva di Anna e Valerio.
…La vita possibile si presentava dunque già in fase di
sceneggiatura come un’ottima occasione per condurre il discorso un passo oltre,
scandagliando una volta di più con durezza l’Italia solo all’apparenza bene. Se le buone intenzioni rimangono per lo più
sulla carta, la “colpa” non è certo attribuibile ai caratteri protagonisti:
Anna e Carla, grazie anche all’ottimo lavoro di Buy e Valeria Golino, sono due
personaggi sfaccettati, ricchi delle necessarie ambiguità, umani. E De Matteo
ben coglie la necessità di non approfondire in maniera eccessiva la storia dei
personaggi, lasciando allo spettatore il compito di accedere al loro “mistero”.
Un’attenzione simile in fase di scrittura cozza
purtroppo con una descrizione d’ambiente meno compatta e a fuoco del solito,
quasi che De Matteo sia vittima dello stesso spaesamento che attanaglia Anna,
costretta a ripartire da zero portando su di sé cicatrici non solo metaforiche,
in una città in cui si sente aliena. Se Torino sembra una location adatta alle
esigenze del film (e non solo per la presenza della film commission), La vita possibile arranca proprio quando si
approssima a un altro topos di De Matteo: la coralità. Le sottotrame che
dovrebbero irrobustire La vita possibile,
proponendo uno spaccato delle classi sociali fondamentale per la lettura etica
del film, finiscono invece per confondere lo spettatore, deviando lo sguardo
verso traiettorie quasi smarrite, confuse, disperse in un magma indistinto.
Ne viene fuori un’opera squilibrata, che si
regge solo sulle spalle – per fortuna forti – delle due attrici protagoniste,
ma non riesce a incidere quanto dovrebbe, ed era senza dubbio nelle intenzioni.
Tra situazioni inessenziali e reiterazioni poco convincenti, quel che rimane
negli occhi è solo il messaggio, o come
lo si vuol chiamare. Lodevole, per carità. Ma sarebbe stato lecito pretendere
di più; le occasioni, per De Matteo, non mancheranno.
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