domenica 7 settembre 2025

Un Film Fatto per Bene - Franco Maresco

come fa bene al Cinema (come arte) un film che non ti aspetti, ma il Cinema (quello dei grandi produttori e distributori) preferisce i film prevedibili e incasellabili e manovrabili.

Franco Maresco si inventa una storia fatta di tanti pezzi e citazioni di film memorabili, quasi impossibile elencarle tutte, ma il frate innamorato dell'asino e la partita a scacchi fra le rovine sono indimenticabili.

le facce degli attori sono perfette per il film, come sempre.

andate a guardare Un Film Fatto per Bene e godetene tutti, finchè è possibile.

buona (speciale) visione - Ismaele

 

 

Maresco è letteralmente irrefrenabile. Fa scivolare di continuo il bandolo della matassa narrativa, lo calcia ogni volta qualche metro più avanti, si balocca sornione tra significato e significante, dissacra ogni segno possibile del sacro, deflagra in una sequenza pardon tombale dove seppellisce con una lunga carrellata su delle lapidi il cinema italiano e le ruffianerie digitali: “La tecnologia è il regno dei mediocri” e “un film di questi tempi non si nega a nessuno”. Se Bene differenziava capzioso tra talento e genio, talvolta sembra che Maresco paradossalmente ne possieda i geni di entrambi. Un film fatto per Bene è spasso impietoso e travolgente, è follia destrutturata e libera, è cinema oltre ogni stupidaggine impegnata. Dio è morto, ma Maresco ogni tanto si sente anche molto Bene.

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Maresco non ha mai temuto il conflitto, anzi lo ricerca. La tensione tra produzione e creazione, tra controllo e abbandono, diventa il cuore pulsante del suo cinema. Il suo rapporto con chi lavora accanto a lui è totale, totale come l’impegno di chi sa che la grande arte nasce solo da una forma di sacrificio e di sofferenza. E forse è proprio in questo, nel dolore creativo, che risiede il suo stile unico, dove la realtà e l’allucinazione si fondono in un’unica, feroce visione.

Un film fatto per Bene non si limita a raccontare Carmelo Bene. Quest’opera diventa il pretesto per radunare momenti parossistici e singolari del suo passato da regista, la sublimazione di tutti i tormenti di Maresco: il tempo che diventa memoria e rovina, la bellezza che nasce dall’orrore, il cinema che si fa estremo e necessario. In fondo, Maresco ci ricorda che il cinema non è mai neutrale: è un rito, una prova di resistenza, un gesto che richiede tutto di chi lo crea. E forse è proprio questo che rende il suo lavoro indimenticabile: la sua ferocia, la sua lucidità e il coraggio di non risparmiarsi mai.

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Un film fatto per Bene certifica di aver compreso fino in fondo il teatro post-artaudiano di Bene, e si pone come atto di resistenza dell’immagine contro un immateriale sempre più vacuo, ectoplasmatico, deturpante. Non è certo casuale che Maresco oltre a muoversi su/per/attorno a Carmelo Bene, citi in scena Franco Scaldati – riproponendo il lacerto di un dialogo illuminante e straziato –, assuma un altro residuo della controcultura degli anni Novanta come Antonio Rezza per replicare/negare/reinterpretare la sequenza celeberrima della disfida a scacchi tra la Morte e il protagonista di bergmaniana memoria, e si contorni di quel microcosmo palermitano che non è (come troppo stesso ipotizzato) la sua personale corte dei miracoli bensì l’enucleazione in atto umano di un concetto, di un’idea, dell’ideologia di non appartenenza a un mondo che non va sfiorato, ma rigettato con forza. In questo senso il racconto si fa eloquente, con la magniloquenza dell’en plein air che si riduce dapprima a un teatro di posa e poi perfino a uno spazietto miserrimo e angusto nella sede della succitata Tvm: un ritorno a casa che non è un ripiegarsi, ma un riscoprirsi eternamente controcorrente. Così controcorrente che nemmanco una confessione può provare a fare il miracolo – che dopotutto parrebbe non esistere, l’imbracatura del santo in levitazione si rompe e il povero Bernardo crolla al suolo da un’altezza considerevole: eppure, il finale… – di ricondurre Maresco su un’ipotetica “retta via”. Di un’intelligenza sconfinata, Un film fatto per Bene è un’istantanea tragica sull’Italia culturizzata, ma anche un film comico che trascina alle lacrime per quanto si può ridere di fronte a sequenze indimenticabili, tra le quali appare impossibile non citare il lungo passaggio che vede in scena come vittima/complice del regista/carnefice Francesco Puma, alle prese con un problema gastrointestinale e interprete perfetto nel racchiudere in sé l’incrocio all’apparenza impossibile tra patetico, sublime, artistico, scatologico e comico. Franco Maresco volteggia a levature troppo alte probabilmente per l’asfittico panorama nazionale, ma la sua testimonianza di coerenza è così radicale e ghignante da trascinar via con sé l’intero palinsesto di Venezia 2025.

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Grottesco fino al sublime – Francesco, giullare di Dio (1950) flirta con Effetto notte (1973) – e consapevolmente autolesionista, usando Carmelo Bene come provocatore acustico e metacinematografico, Maresco dirige il suo film-testamento (dedicato a Goffredo Fofi, recentemente scomparso), che è anche uno spietato atto d’accusa in primis verso sé stesso, gli altri, la società, i suoi tempi e l’osceno e ripugnante mondo, eseguito con iunctura acris e una veemenza degna di Paolo di Tarso dopo la conversione sulla via di Damasco (menzione speciale per l’invettiva contro il cinema odierno su una sfilata di tombe al Cimitero di Santa Maria ai Rotoli di Palermo).

La misantropia degna di Timone l’Ateniese e il conclamato pessimismo esistenziale che lo caratterizzano, sprofondando in auto-deprecazione, alla fine però trovano un’inaspettata soluzione mistica, feroce e parodica palinodia con cui chiudere i conti coi fantasmi del passato e tirare le somme di una vita, frutto dell’inconveniente di essere nati.

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…Il meglio, allora, va cercato nel coraggio di Maresco, che anche stavolta non fa sconti a nessuno, come quando - turlupinando il minus habens Francesco Puma, assurto a critico cinematografico in una delle trasmissioni di Marzullo - di quest'ultimo dice che "in un paese normale, uno come lui potrebbe al massimo vendere popcorn in un circo". E questo basta a giustificare l'acquisto del biglietto, anche se, alla fine, resta il dubbio se il film sia un'agiografia strampalata o un funerale grottesco del cinema italiano.

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Maresco fa tutto ciò restituendoci descrizioni di forme di follia che regredisce a stadi primitivi misti a manifestazione candida tenerezza in un mondo-discarica che trova eguali stilistici solo in poche altre occasioni autoriali, come nel caso del cinema ormai purtroppo un po' perso per strada degli altrettanto geniali Jeunet e Caro in quei medesimi stilisticamente assai fertili anni '90.

Maresco invece, grazie a questo film che surclassa la maggior parte degli altri spesso ben più pompati film scelti nel Concorso di Venezia 82, torna in scena con una ritrovata vitalità d' altri tempi, che non rinnega affatto il passato, anzi lo cita apertamente, lo ripropone trovando un modo geniale per conferirgli una sua ragion d'essere in un nuovo millennio ove la vera mostruosità si cela non tanto tra l'emarginazione ed il degrado, ma ben più addentro alla vita sociale di chi appare integrato ed in lizza per proclamarsi vincente ed arrivato.

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