mercoledì 17 settembre 2025

Quinto potere – Sidney Lumet

già nel 1976 in Quinto potere Sidney Lumet mostra il pericolo della tv, un mezzo di persuasione e condizionamento di massa, con una sceneggiatura impalcabile e attori in stato di grazia, grazie al regista.

un film da non perdere, potrebbe essere girato ieri, non perde niente col passare del tempo.

buona (televisiva) visione - Ismaele


 

 

È fin troppo semplice leggere Quinto potere con gli occhi di oggi e definirlo profetico. Come in ogni momento catartico della storia recente, e la guerra in Ucraina è già uno di quelli, sugli schermi tv impazzano i paladini intransigenti dei valori occidentali, sempre più simili all’immagine del nemico di cui fanno la caricatura.

Non è solo il campo di battaglia a essere protagonista in questo primo mese in cui la guerra è tornata sul suolo europeo: i media, infatti, hanno un ruolo fondamentale nel conflitto tra opinionismo, propaganda, social e simbologia.

La differenza tra informazione e propaganda è un elemento fondamentale di igiene democratica perchè in base a quello molto spesso si formano idee e coscienze…

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Il senso ultimo di “Quinto potere” è che Howard, nonostante stia vivendo un momento delicato della sua vita, è un burattino nelle mani del network, il quale lo sfrutta per aumentare la propria visibilità; il plot twist finale è che anche i suoi stessi carnefici lo sono: fungono da pedine in una società che ha come unico scopo quello di mettere in moto il denaro, eliminando l’umanità, le emozioni e i pensieri degli individui, rendendoli solo un mero agglomerato di pulsioni da soddisfare e frustrazioni da placare.

Nonostante sia innegabile che i tempi del film vadano a rilento per lo spettatore odierno, consiglio a tutti coloro che posseggono una buona dose di spirito critico di superare questo piccolo ostacolo per godersi un film purtroppo un po’ dimenticato, ma che nei suoi dialoghi cela un significato vero, profondo e capace di perturbare gli animi anche nel nostro secolo.

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Con soli cinque minuti e due secondi, Beatrice Straight detiene ad oggi il record per la più breve interpretazione di sempre premiata con un Oscar. In questo breve minutaggio in scena, il suo personaggio, Louise Schumacher, si confronta con il marito Max, il quale confessa alla moglie di aver intrapreso una relazione con Diana Christensen.

Va’ dove ti pare, vai in albergo, va’ a stare con lei, ma non tornare! Perché dopo venticinque anni di costruire e tirare su una famiglia e tutti gli inutili dispiaceri che ci siamo inflitti a vicenda, che possa morire se me ne starò qui a sentirmi dire che sei innamorato di un’altra! Perché questo non è il week-end di lavoro con la segretaria, vero? O una puttana che hai rimediato dopo aver preso una bella sbronza, questa è la tua grande avventura d’amore, non è vero? Il tuo ultimo ruggito di passione prima di arrenderti all’immancabile vecchiaia! È questa che riservi per me? È questa la mia parte? Lei ha la tua ultima passione e io la tua senilità? Che cosa pretendi che faccia? Dovrei starmene a casa a lavorare a maglia mentre tu rientri furtivamente come un ubriacone pentito? Sono tua moglie, per Dio! E se non riesci a provare un po’ di passione per me, quello che chiedo è rispetto e lealtà assoluta! – Louise Schumacher (Beatrice Straight)

In soli cinque minuti, Beatrice Straight – grande interprete non solo nel mondo del cinema ma anche, e soprattutto, del palcoscenico teatrale – decostruisce la favola del matrimonio borghese americano, apponendo una cesura rispetto all’ideale idilliaco reiterato negli anni Cinquanta e Sessanta dalla televisione. Nel suo monologo, le criticità della vita coniugale vengono a galla con veemenza, e le sue parole assumono una valenza universale e non più limitata al matrimonio del suo personaggio con Max. Le sue parole, in questo peculiare Mad As Hell Speech, mettono a nudo la volontà di non accettare più le condizioni del matrimonio borghese, e non sono così lontane dalle verità pronunciate da Howard in televisione. Anche Louise, a suo modo, apre la finestra e urla a gran voce: “Sono incazzata nera e tutto questo non lo accetterò più!”

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Il sensazionalismo enfatico di Lumet, in realtà, è figlio di un disappunto che, da sempre, lo ha portato a criticare il Sistema per riaffermare certi valori in disuso (il personaggio di William Holden, pur sulla via della corruzione, è l'eroe positivo che giudica le nuove generazioni e si pente della crisi del matrimonio; Lumet ironizza anche sui gruppi anarchici strumentalizzati e sull’idea di creare un programma sui gay). Calca la mano per trasfigurare il materiale nel grottesco e renderlo più inquietante, passando dalle luci naturali delle prime scene a quelle artificiali finali, in cerca di una plateale chiosa terminale per quest’opera che ha fatto epoca, anticipando i tempi e mantenendosi attuale.

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Nonostante abbia piu'di trenta anni questo film di Lumet è ancora attualissimo anche se forse piu'in America(che è letteralmente la terra dei telepredicatori di tutte le specie che parlano di tutto senza alcun controllo)che da noi(in cui il fenomeno è molto piu'limitato).E'un film duro,declamatorio che pigia a fondo anche sul tono grottesco in alcune parti e che cerca di gettare una luce velenosa sui meccanismi che regolano trasmissioni televisive e che determinano il successo di anchormen o anchorwomen in nome dell'audience.La cosa che non mi ha convinto è proprio questo tono declamatorio,aspro che la pellicola assume:è sicuramente scritta bene da chi conosce a menadito certi meccanismi ma forse l'eccessiva foga con cui tutto questo è condotto finisce per nuocere alla tenuta spettacolare del film che da atto d'accusa vigoroso e polemico arriva a essere come il suo protagonista,qualunquista e che cerca la polemica solo per il gusto di alzare il tono della discussione.Gli attori sono tutti fantastici e fanno a gara per rubarsi la scena,Finch è letteralmente assatanato e gli altri premiati un po'tutti con l'Oscar non sono da meno.Certo Hollywood che premia un film che parla di certi meccanismi che si usano anche nell'industria cinematografica fa una figura sicuramente ipocrita,non so che ne pensate....

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Potremmo stare ore a parlare della messa in scena claustrofobica di Lumet in un film ambientato quasi esclusivamente in interni, delle interpretazioni attoriali di un cast in stato di grazia e della valorizzazione a fini quasi orrorifici (d'altronde il direttore della fotografia Owen Roizman aveva lavorato appena due anni prima a L'esorcista) di ogni elemento scenografico (dagli schermi alle lampade, dagli specchi ai letti, dai microfoni ai giornali per arrivare alle finestre che non aprono sul mondo ma che, al contrario, si rivelano cornici di una disperazione alienata universale)…

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Impreziosito da una brillante sceneggiatura di Chayefsky, coadiuvato dalla magistrale regia di Lumet, che valorizza al massimo le performance di un cast artistico strepitoso. L'attore inglese Peter Finch, regala un’interpretazione funambolica,ricca di pathos, in contrasto con quella misurata di un altrettanto straordinario William Holden. Grande anche la prova di Faye Dunaway, Vanno citati inoltre Robert Duvall nella parte di un arrogante dirigente del network, e soprattutto di Ned Beatty in quella di Arhtur Jensen, presidente della società proprietaria della UBS, che in un delirante e surreale monologo, espone a un esterrefatto Beale, i principi di quello che lui chiama "il sistema del dollaro" che è l’unico che muove il mondo.

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Che un giorno, molto tempo dopo, i Salvini e i Grillo andassero in televisione ad urlare contro lo stato delle cose Sidney Lumet non se lo sarebbe mai e poi mai immaginato. Certo, il punto di partenza e i motivi che spingono Howard Beale, un anchorman in piena fase delirante ed autoesaltante, a fare il predicatore e a sollevar folle di telespettatori inebetiti e narcotizzati dalle inutili e stupide trasmissioni e a spingerli a protestare insieme e come lui, sono ben diversi da ciò che hanno mosso in questi tempi i due animali della politica italiana. Beale non riesce più a catalizzare con le sue trasmissioni l’attenzione degli spettatori e quindi le entrate finanziarie delle pubblicità, che sappiamo correre solo verso intrattenimenti ricchi di pubblico e il suo inaspettato licenziamento dalla rete lo porta verso una folle depressione psicologica e alla ribellione, che da personale diventa collettiva, quando riesce a convincere milioni di telespettatori alla insurrezione verbale: "Sono incazzato nero e tutto questo non lo accetterò più!". Tutti sui balconi, sulle scale di emergenza ad urlare la loro delusione e il sospetto di essere stati raggirati dalla tante inutili chiacchiere ascoltate ripetutamente dal piccolo schermo…

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2 commenti:

  1. Oddio, un pochino datato a me sembra, invece... non tanto nei temi (ancora attualissimi) quanto nella messinscena, di chiaro stampo teatrale: enfatica, pomposa, sin troppo elaborata a livello di dialoghi. Resta comunque un film-simbolo, ci mancherebbe.

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    1. Manca il momento 'what the fuck' direbbero quelli di Netflix (Moretti docet) - noi anziani siamo d'accordo con Moretti

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