già nel 1976 in Quinto potere Sidney Lumet mostra il pericolo della tv, un mezzo di persuasione e condizionamento di massa, con una sceneggiatura impalcabile e attori in stato di grazia, grazie al regista.
un film da non perdere, potrebbe essere girato ieri, non perde niente col passare del tempo.
buona (televisiva) visione - Ismaele
È fin troppo semplice leggere Quinto potere con gli occhi
di oggi e definirlo profetico. Come in ogni momento catartico della storia
recente, e la guerra in Ucraina è già uno di quelli, sugli schermi tv impazzano
i paladini intransigenti dei valori occidentali, sempre più simili all’immagine
del nemico di cui fanno la caricatura.
Non è solo il campo di battaglia a essere protagonista in
questo primo mese in cui la guerra è tornata sul suolo europeo:
i media, infatti, hanno un ruolo fondamentale nel conflitto tra
opinionismo, propaganda, social e simbologia.
La differenza tra informazione e propaganda è un elemento
fondamentale di igiene democratica perchè in base a quello molto spesso si
formano idee e coscienze…
…Il senso ultimo di “Quinto potere” è che Howard, nonostante stia
vivendo un momento delicato della sua vita, è un burattino nelle mani del
network, il quale lo sfrutta per aumentare la propria visibilità; il plot twist finale è che anche i suoi stessi
carnefici lo sono: fungono da pedine in una società che ha come unico scopo
quello di mettere in moto il denaro, eliminando l’umanità,
le emozioni e i pensieri degli individui, rendendoli solo un mero agglomerato
di pulsioni da soddisfare e frustrazioni da placare.
Nonostante sia innegabile che i tempi del film vadano a
rilento per lo spettatore odierno, consiglio a tutti coloro che posseggono una
buona dose di spirito critico di superare questo piccolo ostacolo per godersi
un film purtroppo un po’ dimenticato, ma che nei suoi dialoghi cela un
significato vero, profondo e capace di perturbare gli animi anche nel nostro
secolo.
… Con soli cinque
minuti e due secondi, Beatrice Straight detiene ad oggi il record per
la più breve interpretazione di sempre premiata con un Oscar. In questo
breve minutaggio in scena, il suo personaggio, Louise Schumacher, si confronta
con il marito Max, il quale confessa alla moglie di aver intrapreso una relazione
con Diana Christensen.
Va’ dove ti pare, vai in albergo, va’ a stare con lei, ma
non tornare! Perché dopo venticinque anni di costruire e tirare su una famiglia
e tutti gli inutili dispiaceri che ci siamo inflitti a vicenda, che possa
morire se me ne starò qui a sentirmi dire che sei innamorato di un’altra!
Perché questo non è il week-end di lavoro con la segretaria, vero? O una
puttana che hai rimediato dopo aver preso una bella sbronza, questa è la tua
grande avventura d’amore, non è vero? Il tuo ultimo ruggito di passione prima
di arrenderti all’immancabile vecchiaia! È questa che riservi per me? È questa
la mia parte? Lei ha la tua ultima passione e io la tua senilità? Che cosa
pretendi che faccia? Dovrei starmene a casa a lavorare a maglia mentre tu
rientri furtivamente come un ubriacone pentito? Sono tua moglie, per Dio! E se
non riesci a provare un po’ di passione per me, quello che chiedo è rispetto e
lealtà assoluta! – Louise Schumacher (Beatrice Straight)
In soli cinque minuti, Beatrice Straight –
grande interprete non solo nel mondo del cinema ma anche, e soprattutto, del
palcoscenico teatrale – decostruisce la favola del matrimonio borghese
americano, apponendo una cesura rispetto all’ideale idilliaco reiterato
negli anni Cinquanta e Sessanta dalla televisione. Nel suo monologo, le
criticità della vita coniugale vengono a galla con veemenza, e le sue parole
assumono una valenza universale e non più limitata al matrimonio del suo
personaggio con Max. Le sue parole, in questo peculiare Mad As Hell
Speech, mettono a nudo la volontà di non accettare più le condizioni del
matrimonio borghese, e non sono così lontane dalle verità pronunciate da
Howard in televisione. Anche Louise, a suo modo, apre la finestra e urla a gran
voce: “Sono incazzata nera e tutto questo non lo accetterò più!”
…Il sensazionalismo enfatico di Lumet, in realtà, è
figlio di un disappunto che, da sempre, lo ha portato a criticare il Sistema
per riaffermare certi valori in disuso (il personaggio di William Holden, pur
sulla via della corruzione, è l'eroe positivo che giudica le nuove generazioni
e si pente della crisi del matrimonio; Lumet ironizza anche sui gruppi
anarchici strumentalizzati e sull’idea di creare un programma sui
gay). Calca la mano per trasfigurare il materiale nel grottesco e renderlo
più inquietante, passando dalle luci naturali delle prime scene a quelle
artificiali finali, in cerca di una plateale chiosa terminale per quest’opera
che ha fatto epoca, anticipando i tempi e mantenendosi attuale.
Nonostante abbia piu'di trenta anni questo film di Lumet è
ancora attualissimo anche se forse piu'in America(che è letteralmente la terra
dei telepredicatori di tutte le specie che parlano di tutto senza alcun
controllo)che da noi(in cui il fenomeno è molto piu'limitato).E'un film
duro,declamatorio che pigia a fondo anche sul tono grottesco in alcune parti e
che cerca di gettare una luce velenosa sui meccanismi che regolano trasmissioni
televisive e che determinano il successo di anchormen o anchorwomen in nome
dell'audience.La cosa che non mi ha convinto è proprio questo tono
declamatorio,aspro che la pellicola assume:è sicuramente scritta bene da chi
conosce a menadito certi meccanismi ma forse l'eccessiva foga con cui tutto
questo è condotto finisce per nuocere alla tenuta spettacolare del film che da
atto d'accusa vigoroso e polemico arriva a essere come il suo
protagonista,qualunquista e che cerca la polemica solo per il gusto di alzare
il tono della discussione.Gli attori sono tutti fantastici e fanno a gara per
rubarsi la scena,Finch è letteralmente assatanato e gli altri premiati un
po'tutti con l'Oscar non sono da meno.Certo Hollywood che premia un film che
parla di certi meccanismi che si usano anche nell'industria cinematografica fa
una figura sicuramente ipocrita,non so che ne pensate....
Potremmo stare ore a parlare della messa in scena claustrofobica
di Lumet in un film ambientato quasi esclusivamente in interni, delle
interpretazioni attoriali di un cast in stato di grazia e della valorizzazione
a fini quasi orrorifici (d'altronde il direttore della fotografia Owen Roizman
aveva lavorato appena due anni prima a L'esorcista) di ogni
elemento scenografico (dagli schermi alle lampade, dagli specchi ai letti, dai
microfoni ai giornali per arrivare alle finestre che non aprono sul mondo ma
che, al contrario, si rivelano cornici di una disperazione alienata universale)…
…Impreziosito
da una brillante sceneggiatura di Chayefsky, coadiuvato dalla magistrale regia
di Lumet, che valorizza al massimo le performance di un cast artistico
strepitoso. L'attore inglese Peter Finch, regala un’interpretazione
funambolica,ricca di pathos, in contrasto con quella misurata di un altrettanto
straordinario William Holden. Grande anche la prova di Faye Dunaway, Vanno
citati inoltre Robert Duvall nella parte di un arrogante dirigente del network,
e soprattutto di Ned Beatty in quella di Arhtur Jensen, presidente della
società proprietaria della UBS, che in un delirante e surreale monologo, espone
a un esterrefatto Beale, i principi di quello che lui chiama "il sistema
del dollaro" che è l’unico che muove il mondo.
Che un giorno, molto tempo dopo, i Salvini e i Grillo
andassero in televisione ad urlare contro lo stato delle cose Sidney Lumet non se lo sarebbe mai e poi mai
immaginato. Certo, il punto di partenza e i motivi che spingono Howard Beale, un anchorman in piena fase delirante ed
autoesaltante, a fare il predicatore e a sollevar folle di telespettatori
inebetiti e narcotizzati dalle inutili e stupide trasmissioni e a spingerli a
protestare insieme e come lui, sono ben diversi da ciò che hanno mosso in
questi tempi i due animali della politica italiana. Beale non riesce più a
catalizzare con le sue trasmissioni l’attenzione degli spettatori e quindi le
entrate finanziarie delle pubblicità, che sappiamo correre solo verso
intrattenimenti ricchi di pubblico e il suo inaspettato licenziamento dalla
rete lo porta verso una folle depressione psicologica e alla ribellione, che da
personale diventa collettiva, quando riesce a convincere milioni di
telespettatori alla insurrezione verbale: "Sono incazzato nero e tutto
questo non lo accetterò più!". Tutti sui balconi, sulle scale
di emergenza ad urlare la loro delusione e il sospetto di essere stati
raggirati dalla tante inutili chiacchiere ascoltate ripetutamente dal piccolo
schermo…
Oddio, un pochino datato a me sembra, invece... non tanto nei temi (ancora attualissimi) quanto nella messinscena, di chiaro stampo teatrale: enfatica, pomposa, sin troppo elaborata a livello di dialoghi. Resta comunque un film-simbolo, ci mancherebbe.
RispondiEliminaManca il momento 'what the fuck' direbbero quelli di Netflix (Moretti docet) - noi anziani siamo d'accordo con Moretti
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