la prima parte il film scorre tranquilla, niente di imperdibile, ma è solo la preparazione di quello che succede poi, nella seconda parte del film inizia la resa dei conti, come fosse un western impazzito, dove tutti sono contro tutti, agiscono come se non ci fosse un domani.
in una minuscola cittadina del New Mexico si svolge una contesa elettorale senza esclusione di colpi, ai tempi del covid, degli smartphone(s) e del complottismo (o dei complotti veri).
alla fine appaiono degli incappucciati, che non sono il Ku Klux Klan, e ammazzano delle vittime designate, una vera macelleria messicana.
diversi impazziscono, molti la pagano, pochi, come sempre, ne traggono profitto, altri (che appaiono in parte) se ne avvantaggiano, e tutti (o quasi) sono pedine di un gioco al massacro che non capiscono fino in fondo.
Joaquin Phoenix aggiunge al suo curriculum una prestazione straordinaria, ma tutti sono bravi, sotto l'ottima direzione di Ari Aster.
a me è piaciuto molto, i film perfetti sono pochi, ma Eddington è una grande ed inquietante opera (quarta) di Ari Aster.
fra i finanziatori manca il ministero del turismo degli Usa.
un film da non perdere, per i miei gusti.
buona (pessimistica) visione - Ismaele
ps: per concidenza pochi giorni fa ho letto un libro di Leslie Marmon Silko (qui), ambientato in New Mexico, nel film vengono citate, come nel libro, le terre rubate (agli indiani)
…Qualcuno mica a torto lo troverà pasticciato e confuso,
visto che inserisce al suo interno persino troppi spunti e tematiche non tutti
sviluppati al meglio. Però questo è anche il suo bello, e il bello del cinema
di Ari Aster in generale. Un suo film parte in un modo e poi può prendere
qualsiasi direzione, anche e soprattutto quelle più pazzesche. Il suo è un
cinema fastidioso, poco soddisfacente, perché non dà allo spettatore ciò che
vorrebbe. Gli dà qualcosa di diverso, di duro, di sgradevole, di inaspettato.
Ed è poi la cosa da apprezzare di più.
…Ari Aster ha dichiarato che dai film
precedenti vuole imparare a non sbagliare, ma di Beau ha paura corregge
solo gli estremismi che risultavano incompatibili con un pubblico più
ampio. Eddington è un esperimento altrettanto rischioso,
ugualmente libero. Prende strade impervie, si sgretola, divide. Un cinema che
non vuole piacere è un cinema che palpita scegliendo di non sopravvivere, che
supera il proprio tempo e sospende il giudizio mentre lo subisce, che mostra
più di quanto voglia mostrare. Chissà se Aster è consapevole del fatto che
questo film non parli solo dell’America trumpiana – i critici italiani
sicuramente no.
Nell’universo di Eddington tutto è sfumato, specialmente le questioni più delicate: c’è la
psicosi di chi indossa la mascherina da solo in macchina o in videochiamata e
di chi utilizza la tecnologia come protesi, l’ignoranza di chi invoca la
tradizione ma è disposto a credere a qualsiasi teoria che passi in rassegna
sullo schermo del cellulare; e poi c’è l’incoerenza di chi protesta armato di
hashtag e spogliato del linguaggio – gli antifa diventano terroristi, come in
Lanthimos, le vittime sono anche carnefici e viceversa. Come nella sequenza già
di culto in cui Phoenix spara all’impazzata mentre gli manca il respiro. Ma in
questo caso e in questo Cannes, il cinema respira. E spara fortissimo.
…Il problema di Eddington è
dunque quello di rimanere in superficie e banalizzare le questioni raccontate
tramite una narrazione in cui il disordine regna sovrano. Si può giustificare
tutto questo con la difficoltà di trovare risposte soddisfacenti a questioni
sociali di complessa risoluzione? Oppure con l’obiettivo di voler rappresentare
una situazione caotica che rispecchia una società in cui diventa molto
difficile distinguere ciò che è reale da ciò che non lo è? In realtà viene più
il dubbio, a conti fatti, di trovarsi di fronte più che altro ad un tradimento
delle coraggiose ambizioni di partenza, a vantaggio di una sterile osservazione
degli eventi narrati resa in maniera più o meno spettacolare ed eccessiva anche
nella sua lunghezza (due ore e mezza di film che potevano essere
tranquillamente accorciate). E questo, in un momento in cui c’è forse bisogno
più che mai se non di risposte, di spunti e di coraggio, è imperdonabile.
…Eddington non
è una grande riflessione sul nostro tempo. Non è nemmeno un film pienamente
riuscito. È piuttosto una constatazione impotente, quasi disperata, del fatto
che la frattura è ormai insanabile. Come dice una battuta di Sirat,
notevole titolo del concorso di questa Cannes: «È la fine del mondo già da
tanto tempo». Oliver Laxe, tuttavia, sa incorniciare
quella fine con poesia e chiarezza. Ari Aster, invece,
finisce per confonderla ancora di più.
Ma
forse anche questo ha un senso. Forse Eddington va
accettato per quello che è: un film spartiacque, uno dei primi a cercare di
raccontare l’America post-COVID per ciò che è, senza finzioni, senza nostalgia,
e senza alcuna illusione di salvezza. Solo caos, paura e un lungo, inevitabile
silenzio.
…El
cineasta norteamericano no propone soluciones, evita posicionarse en un cien
por ciento a favor o en contra de alguna ideología, detalle que enmascara cierto
cinismo facilista, y opta en cambio por señalar los absurdos detrás de cada
bando porque el atolladero de la actualidad es producto de la acción,
inoperancia y/ o apatía de todos, desde el ecosistema político y la lacra
chupasangre capitalista hasta los medios de comunicación y esos tibios del
montón de las patrias abúlicas de hoy en día, en este sentido la polarización
en pantalla se nos aparece como irreversible o caricaturesca o pesadillesca o
tal vez tan surrealista y confusa como la “guerra civil” del último acto entre
Joe y los francotiradores de izquierda en las sombras. El film trabaja bien el
contraste entre la vulnerabilidad del protagonista (la esposa loquita, el asma,
sus muchas inseguridades y un posible contagio de coronavirus, precisamente por
necio y no usar barbijo) y esa enorme ambición política que le despierta de
repente aunque no por vocación verdadera o doctrina concreta a defender sino
por desprecio, justo como suele ocurrir entre la fauna de derecha del nuevo
milenio (a la candidatura en sí se suma el triple asesinato, dos por venganza y
el primero para sacarse de encima el vagabundo, un pobre odioso en la tradición
de Luis Buñuel). El miedo y la verdad fragmentada se mezclan con una angustia
de larga data y una tecnofilia de celulares consagrados al narcisismo, el morbo
o una denuncia crónica banal que deriva en sadismo…
https://www.lafionda.org/2025/11/05/eddington-la-piu-grande-satira-sullamerica-contemporanea/
RispondiElimina