appare solo in una sessantina di sale Alpha, il nuovo film di Julia Ducournau, dopo Grave e Titane.
una famiglia di origine berbera nella Parigi degli anni dell'Aids, la madre medico (Golshifteh Farahani), la figlia (bambina e adolescente) Alpha (una bravissima Mélissa Boros) e il fratello della mamma Amin (Tahar Rahim), tossicodipendente e senza futuro.
è un film d'amore, in fondo, in un mondo che sembra alla fine, con il vento rosso in agguato e in attesa.
c'è una grave malattia che stravolge le vite, trasforma i corpi in pezzi di marmo, senza speanza di guarigione (come l'Aids nei primi anni).
è un film intenso, doloroso, disperato e tuttavia pieno d'amore, è grande cinema, con attrici e attori più che perfetti.
un film da non perdere, per i miei gusti.
buona (Alpha) visione - Ismaele
…Julia Ducournau non prende la strada più semplice per condurre lo
spettatore nel percorso di crescita di un’adolescente e nell’elaborazione del
lutto di sua madre, anzi ci sbatte in faccia proprio il percorso più tortuoso,
quello fatto di ostacoli e tanta buona volontà nel superarli. Inoltre,
esattamente come accadeva in Titane, l’autrice
gode nel confezionare un cinema respingente e ostico, che crea domande invece
di dare risposte. Quindi non aspettatevi una visione leggere, Alpha non lo è, e soprattutto sappiate che
quando inizieranno a scorrere i titoli di coda, non tutti i nodi saranno venuti
al pettine. Ma la delicatezza e la credibilità con i quali viene affrontato
questo coming of age sono esemplari, così come il volto
incredibilmente espressivo della giovane Mélissa Boros che
veste i panni della protagonista.
Inoltre, Julia Ducournau conferma un talento incredibile nel trovare
il punto giusto in cui posizionare la macchina da presa, lo stesso talento che
ha nel raccontare l’universo femminile borderline e nel dirigere i suoi attori.
Se in Titane era Vincent Lindon a risultare particolarmente
magnetico, qui è Tahar Rahim a offrire un’interpretazione meritevole di
qualsiasi premio.
Alpha non è un film facile, dunque,
sicuramente chiede una particolare predisposizione dello spettatore alla
ricezione, come del resto i precedenti film dell’autrice, ma se si riesce a
cogliere il senso dell’operazione (meno ostico di quello che qualcuno vi
potrebbe dire), allora si tratta di un bellissimo viaggio emotivo nella vita
turbolenta di una madre e una figlia.
…La storia segue due linee temporali:
Alpha a cinque anni e Alpha a tredici anni. Le due temporalità finiscono per
incrociarsi, sovrapporsi e qualche volta convergere nella stessa sequenza,
traducendo propriamente la visione che una bambina ha del mondo che la
circonda, decifrando quello che percepisce ma anche la maniera in cui gli
eventi sedimentano col tempo nella sua memoria, come una successione di sogni
che si appoggiano l'uno sull'altro.
Oblio, reinterpretazione, reinvenzione,
reminiscenza cortocircuitano tempo e spazio, ogni normalità è sospesa per
instaurare il caos. Una confusione che spalanca le porte del passato e risveglia
il fratello e lo zio, fantasma inquieto tra overdose, prigione e destino in
frantumi. In questo triangolo affettivo, solo la madre non ha un nome. È
bastione, riparo, figura materna che 'porta soccorso' e defibrilla per
ripristinare il normale ritmo vitale dei suoi cari, per scongiurare la morte
della figlia, che potrebbe essere stata infettata da un tatuaggio artigianale,
e per aiutare il fratello tossicomane a vivere, ancora e ancora. E la sua
attitudine alla vita, fino all'accanimento, trasfonde energia romantica a un
film emozionante come una nascita e struggente come un lutto. Golshifteh
Farahani è semplicemente mamma, la cura e
il prendersi cura, in ospedale come a casa, uno spazio domestico
che assomiglia più a un gabinetto medico che a un focolare.
Daccapo, Ducournau si avventura nel territorio dell'orrore corporale ma la
carica (virale) è meno viscerale, meno apertamente sanguinolenta, che nei suoi
film precedenti, nonostante la sequenza in piscina, le siringhe infilzate come
coltelli e il mauvais sang.
Tahar Rahim, spaventosamente magro, come un dannato con gli occhi vuoti, sembra
di fatto un'incarnazione di Denis Lavant nei film di Leos Carax. La figurazione incandescente dell'attore
è coerente con la realtà della malattia ma soprattutto con l'estetica del
cinema francese degli anni Ottanta: forme bidimensionali, tinte unite, neon,
lunghi intervalli musicali.
Al corpo minerale (e calcificato) di Tahar Rahim reagisce quello 'in
formazione' di Alpha, un'altra adolescente ducournauiana che scopre un segreto
di famiglia e porta la 'differenza' in un mondo che ha perso tutti i ripari.
Mélissa Boros, consumata dai traumi di un'infanzia al cuore di un clan
disfunzionale, piange lacrime di polvere dentro un film sepolcrale e ferito,
imperfetto e folgorante. La sua Alpha è carne tra sculture funerarie, torrente
di sentimenti cullato da una ninna nanna berbera ("A Vava Inouva"),
prima che il mondo finisca e il vento si posi.
Anche Alpha, la tredicenne protagonista del nuovo omonimo film di Julia
Ducournau, è una reietta, esattamente come la Hester raccontata da Nathaniel
Hawthorne ne La lettera scarlatta, e non a caso
anche lei si ritrova con una A apposta alla sua pelle. Certo, quella lettera è
l’iniziale del suo nome e non sta lì a indicare un’adultera, ed è marchiata a
fuoco sulla pelle e non cucita sull’abito, ma l’apparentamento non pare così
peregrino, perché anche la giovane adolescente che vive con la madre dottoressa
obbligata a turni massacranti in ospedale a causa di un virus letale che
sgretola letteralmente le persone in realtà viene guardata da tutti come
un’appestata. Forse a sua volta potrebbe aver contratto quel virus che non
lascia scampo e che si trasmette attraverso gli aghi. Si è nella Francia dei
primi anni Novanta, lo si comprende dal fatto che in televisione viene
trasmesso Le avventure del barone di Munchausen di
Terry Gilliam, e la metafora non potrebbe essere più chiara: il terzo
lungometraggio di Ducournau, dopo essersi concentrata sulle pratiche del
cannibalismo in Raw e aver riportato
alla mente connubi incestuosi tra essere umano e macchina in Titane, si muove in
direzione della riflessione sull’AIDS, la sindrome da immunodeficienza
acquisita che per oltre un ventennio è stato l’incubo costante con il quale
almeno tre generazioni sono state costrette a convivere. Nata nel 1983, la
regista parigina deve aver introiettato la paura degli aghi, dei tossici, e dei rapporti sessuali che il dilagare
dell’AIDS portò con sé, e la getta tutta in questo film che assume dunque dei
connotati quasi catartici. In realtà Alpha è una ragazzina decisamente indomita
e coraggiosa: non teme i continui dileggi che subisce in classe – soprattutto
dalla fidanzatina del suo migliore amico Adrien, che è segretamente innamorato
di lei –, non ha paura della malattia che pure forse potrebbe aver contratto, e
affronta con un coltello lo sconosciuto che trova un giorno in casa e che
scopre essere il fratello di sua madre (eroinomane che tenta disperatamente di
uscire dalla dipendenza), di cui non serba memoria nonostante lo spettatore li
abbia visti insieme nella sequenza introduttiva, quando però Alpha aveva appena
cinque anni…
…Ducournau non controlla
gli eccessi – soprattutto della colonna sonora che a volta va troppo ‘a palla’
– ma un film (e un cinema) del genere, non può, anzi non deve avere limiti.
Cerca l’aria e l’acqua ma mostra anche come gli elementi possono diventare
soffocanti come nel soffitto che si abbassa e si rischia di schiacciare Alpha o
la magnifica sequenza in piscina, alla de Palma, sulla linea di Carrie ma
agli occhi degli altri può trasformarsi anche in uno squalo spielberghiano.
Gli occhi nascondono il demone. Il corpo diventa la propria arma di un
martirio. Del contagio, principalmente, c’è la paura, anche se poi in un
abbraccio emozionante tra nipote e zio, le figure si mescolano. Prima di
tornare ancora polvere?
Soffocante, ma anche
devastante. Alpha è (anche) una storia
familiare sulla tossicodipendenza. È il film più estremo e cupo della regista,
quello in cui i cadaveri (del cinema) potrebbero essere sepolti per decenni,
secoli, prima di tornare a muoversi nella notte. Si presenta totalmente
respingente. Ha l’impatto di un pugno in pieno volto ma anche di
un’indimenticabile notte di sesso. Per questo ancora più degli altri due film,
stavolta la cineasta non ha mezze misure nel filmare la bellezza della
mostruosità e gli abbracci perduti e ritrovati. Alpha è un cinema impetuoso e abbagliante, tra
più radicali degli ultimi anni. Il contagio (sensoriale) – anche nella
contrapposizione tra dolore e piacere – si insinua come un virus, in una
sinfonia dissonante che continua a rimbombare nella nostra testa.
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