la serie in realtà è l'insieme di quattro film che si rincorrono e si intersecano, trattando gli stessi temi, con alcuni scostamenti dei punti di vista.
la pista sarda è quella che viene seguita ed esposta nei quattro film, a partire da una storia successa a Villacidro, in Sardegna.
quello che si capisce è davvero poco, se la si guarda come solo una storia criminale, occorre, come suggerisce la sceneggiatura dei film, partire dal rapporto malato di alcuni uomini con le donne (il patriarcato).
le donne sono cose, sono proprietà della famiglia, sono animali domestici, che devono obbedire ed essere munte quando il maschio comanda.
la parola libertà, per le donne, non deve esistere, quelle che ci provano rischiano tanto, troppo, anche la vita (e i mostri sono dappertutto, come purtroppo leggiamo tutti i giorni, mica solo il mostro di Firenze).
tanti sono gli aspetti positivi della serie diretta da Stefano Sollima, in primis tutti i personaggi sardi sono interpretati da attori sardi, che non sfoggiano inutili corsi di dizione, non come in un film di Milani il cui titolo non voglio ricordare, va bene il cinema di finzione, ma non quello finto.
una cosa che stona, secondo me (ma non solo), è che tutto è d'epoca, auto, vestiti, case, ma è tutto troppo preciso, troppo giusto, troppo perfettino.
comunque Il mostro è un lavoro solido, da non perdere.
buona (mostruosa) visione - Ismaele
…Il Mostro è una
miniserie cupa e senza speranza, esattamente come la sua orrifica storia.
Sollima sfrutta tutti gli elementi a sua disposizione per realizzare una
narrazione a incastri dove, episodio dopo episodio, ogni pezzo del puzzle
sembra trovare la sua giusta collocazione. Almeno in apparenza, perché come
tristemente avviene nella realtà, una soluzione ai delitti del Mostro di
Firenze non esiste ancora. Il cast è composto da attori semi
sconosciuti, i cui tratti somatici sono molto simili alle vere persone –
vittime e carnefici – protagoniste di questa terrificante vicenda. Forse
per far sì che il pubblico si concentri più sulla storia piuttosto che su
attori d’eccezione, Sollima pare prediligere una narrazione spontanea e
una recitazione “ruvida”, in cui i suoi attori si muovono
in un palcoscenico da film dell’orrore eseguendo alla perfezione ogni comando
richiesto. Il risultato è d’impatto poiché la concentrazione è sulla vicenda
narrata e sulla fotografia “sporca” e una violenza grafica che
l’accompagnano: le campagne fiorentine isolate, luoghi lugubri e deserti, in
cui vivono l’omertà e il pregiudizio più assoluto…
…Il quesito suona così. Se il folk è ciò che resta grattando
la superficie lucida e brillante del pop, è possibile che il primitivo
selvaggio, annidato comunque nel folk, abbia allora modo di uscire e
manifestarsi? In breve, se accantonando televisione e lavatrici, e il mondo
delle origini, primordiale, torna protagonista, cosa è che infine davvero si
mostra? Un eden perduto, oppure le scorribande crudeli della specie animale,
maschile, padrona e predatrice? Il folk horror, come genere narrativo, in
chiave problematica, sarebbe pertanto il segnale d’allarme della presenza
minacciosa del primitivo nel folk stesso. Tutto ciò fa de Il mostro un
film di quattro ore dal carattere squisitamente politico.
Dalle frange della cultura pop, che ha imperversato dalla seconda metà del
Novecento in poi, sgusciano ormai fuori quelle vibrazioni dell’ethos del
primitivo, che il pop stesso non riesce più a trattenere. Se il pop è la
cultura ufficiale della società di massa, nel momento in
cui quella cultura non tiene più, il perimetro del villaggio globale si
ridisegna allora in aperta e selvaggia campagna, di guerra e di morte. Fasoli e
Sollima ambientano Il mostro precisamente in una aperta
campagna di violenza e sopraffazione, dove la specie animale maschile, con il
ricorso minimo al linguaggio verbale, in assenza dei segni confortevoli del
progresso, detta i codici dell’umiliazione e del dominio…
…Nella
storia emerge un Paese rurale, patriarcale e chiuso, dove le coppiette si
appartano nelle campagne e finiscono per diventare bersaglio di un odio
sistemico verso la libertà femminile. «Si trattava di omicidi ai danni delle
donne», afferma il co-sceneggiatore Leonardo Fasoli. «I fidanzati o i compagni
erano solo un ostacolo che l’assassino si toglieva di mezzo. Ogni donna al di
fuori dei canoni imposti veniva considerata meritevole di punizione. C’era una
forte componente maschilista».
E
allora la miniserie diventa un doppio specchio: quello di un’Italia che, mentre
costruiva la modernità, custodiva ancora i suoi mostri nei campi, nelle
caserme, nelle redazioni dei giornali.
Lo dice chiaramente lo stesso Sollima:
«Ti rendevi conto che la storia che andavi a raccontare era sì ambientata negli
anni ’60-’70, dove c’era una società rurale e patriarcale, ma raccontava la
violenza di genere. E non è così diversa dalla violenza di genere di cui
leggiamo oggi sui giornali. Il femminicidio è, oggi come allora, un tema
assolutamente centrale».
Il Mostro non
cerca risposte, ma ne mostra l’assenza come parte del dolore collettivo.
Per il
consulente storico della serie Francesco Cappelletti, che da diciassette anni
segue la vicenda, «non è facile distinguere i fatti reali dalle versioni
romanzate di scrittori e giornalisti». Sollima e Fasoli lo hanno coinvolto «per
controllare la cronologia e alcuni dettagli psicologici».
E anche nella scelta
degli attori, «siamo partiti dalla pista sarda», dice Sollima, «e ci sembrava
rispettoso scritturare interpreti del territorio, anche per una questione
linguistica»…
…Il regista, insieme a Leonardo Fasoli, ha
dichiarato di aver divorato fascicoli giudiziari e atti processuali fino a
farne un’ossessione. Da questa immersione nasce la decisione più coraggiosa:
non semplificare, non scegliere una tesi, ma accogliere tutte le piste e
restituirle con onestà narrativa. È un metodo che ricorda quello investigativo
– seguire l’arma, il modus operandi – ma applicato alla scrittura e alla regia.
Sollima conferma la sua capacità di unire rigore
documentario e tensione drammatica. Dopo aver raccontato la criminalità
organizzata e il potere politico, con Il Mostro si spinge nel
territorio più rischioso: quello in cui il male non ha volto, e proprio per
questo diventa universale.
Il Mostro è un racconto inquieto,
frammentario, volutamente aperto, che non risolve ma rilancia le domande. La
sua forza sta nel trasformare un fatto di cronaca in un dispositivo di
riflessione sull’Italia, sulle sue paure, sulle sue colpe collettive.
Sollima evita il sensazionalismo e firma una miniserie cupa e
rigorosa, che non cede alla facile tentazione del true crime come
intrattenimento, ma affronta l’orrore attraversandolo con rispetto. Non per
spiegare, forse neanche per capire, ma per ricordare. E per ricordarci che,
come suggerisce il titolo, il mostro potrebbe essere chiunque.
Nessun commento:
Posta un commento