Il Festival internazionale di cinema delle donne a Gaza: un esempio di resistenza civile, una storia da raccontare
Non potremo che ricordare questo evento come un’“utopia realizzata”, tra il
26 e il 31 ottobre 2025, a Deir el Balah nella striscia di Gaza. Anche chi, come me,
stentava un anno fa a credere che questo progetto avrebbe preso corpo nel corso
di un genocidio, nella distruzione di Gaza, sotto i continui crimini
dell’esercito israeliano, con la paura delle bombe, le condizioni di
sofferenza, di fame, di mancanza di tutto della popolazione, ha dovuto
ricredersi. Sembrava una sfida impossibile, di fronte alle difficoltà
materiali, enormi, ma anche al sentire delle persone. Un festival di cinema
Credo che mi abbia convinto a sostenerlo, come ha convinto tutti coloro che
hanno aderito attivamente al progetto, la determinazione del suo ideatore Ezzeldeen
Shalah, critico e regista, di cui abbiamo più volte ascoltato da Gaza,
nelle conversazioni online dei mesi di preparazione, la voce ferma, le parole
convinte e irremovibili che dicevano di andare avanti, comprese quelle dette in
uno dei momenti più terribili degli attacchi dell’esercito israeliano,
l’invasione di terra unita a incessanti bombardamenti, di Gaza City: “Se
io non ci sarò più, continuate questo lavoro…”. Parole che ci hanno stretto
il cuore, ma anche rafforzati nella convinzione di sostenere la realizzazione
del progetto, in tutti i modi possibili.
Il festival è stato presentato, raccogliendo fondi, in varie iniziative in
Italia, e in molti paesi delle associazioni e festival di cinema
che compongono l’ampia rete internazionale: è arrivato a Cannes, a Venezia, a
Firenze gemellandosi con il Festival di cinema delle donne e poi al Festival dei
Popoli dove il suo fondatore ha meritatamente ricevuto il premio SUMUD,
parola che appartiene storicamente alla cultura palestinese: la perseveranza,
la resistenza civile.
Ancora una volta la cultura ha mostrato di essere non lusso, ma risposta a
esigenze fondamentali: la speranza in un futuro possibile, la sua capacità di
essere vita contro la morte, una forma alta di resistenza.
E a chi gli domanda se ha senso parlare di cultura in tempi di genocidio e
di fame, Ezzeldeen ha risposto: “Sì, ed è fondamentale. Il cinema è vita, è una
presenza ostinata contro il nulla. Realizzare un festival tra le macerie
significa dire che siamo ancora qui, che resistiamo e che c’è speranza. È il
nostro modo di sfidare la morte con la vita. Vogliamo trasmettere al pubblico
una carica di fiducia: la speranza, in questi tempi, è già una forma di
resistenza”. (fonte: pungolorosso.com).
Dunque a dispetto di tutti gli ostacoli e le difficoltà, il festival si è
fatto, il tappeto rosso è stato steso, le persone che potevano hanno
partecipato numerose e attente. È iniziato, come previsto, il 26 ottobre, data
scelta per ricordare la Giornata delle donne palestinesi e la prima Conferenza
delle donne palestinesi tenutasi a Gerusalemme nel 1929. Si è aperto
con la proiezione del film vincitore del Leone d’Argento al Festival di
Venezia: “La voce di Hind Rajab” di Kaouther Ben Hania, tunisina, Leone
d’Argento a Venezia. Sconvolgente racconto dell’attesa e poi dell’uccisione
sotto decine di colpi israeliani, di una bambina in un’auto con i familiari.
Terribile e straordinariamente commovente, realizzato con grande capacità
tecnica, fa rivivere quei dolorosi momenti in mezzo al genocidio di Gaza.
I 79 film in programma, tra documentari, cortometraggi e lungometraggi di
finzione provengono da 28 paesi. Tutti raccontano le vite, le voci e le lotte
delle donne. Il Festival è stato poi sospeso per i nuovi bombardamenti nel corso della
cosiddetta “tregua” (!) e si è concluso il 31 ottobre con le premiazioni (qui trovate conclusioni e
assegnazione dei premi).
La realizzazione di questa edizione del Festival incoraggia a lavorare ad
una seconda edizione, come assicura il suo fondatore: “Desideriamo assicurarvi
che, a partire da domani, inizieremo i preparativi per la seconda edizione”, ha
detto davanti al pubblico Ezzaldeen Shalah, presidente e animatore instancabile
del festival che, dal cuore di Gaza, a Deir al-Balah, dove il Sindacato dei
giornalisti palestinesi ha offerto la sua sede, ha parlato al cuore del mondo.

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