martedì 21 ottobre 2025

Tre ciotole – Isabel Coixet

incursione in Italia di Isabel Coixet, portandosi dietro Francesco Carril (protagonista, con Iria del Río, di Dieci Capodanni, di Rodrigo Sorogoyen) dalla Spagna.

ispirato a un libro di Michela Murgia, Tre ciotole racconta la storia di Marta, una professoressa di educazione fisica e Antonio, cuoco e ristoratore.

noi li conosciamo quando già si stanno lasciando, Antonio lascia Marta, che non riesce a fare quello che non vuole, non sa fingere mai, un po' inadatta nel mondo, la sincerità è un difetto.

entrambi soffrono di non essere più insieme, ma non sanno come fare per ritrovarsi.

entrambi si dedicano molto al lavoro, e non riescono a parlarsi e a capirsi davvero.

le loro strade sono ormai divergenti, Marta intanto scopre di essersi ammalata seriamente... e il resto del film guardatevelo da soli.

i due protagonisti sono bravi, come pure tutti gli altri interpreti.

c'è tanta tristezza, nel film, ma anche sorrisi che illuminano la storia.

certo non è un capolavoro, ma si vede bene.

buona (sconsolata) visione - Ismaele 

 


 

Tre ciotole suona, scena dopo scena, di un grave e insostenibile «non sappiamo cosa scrivere…», supplendo ad esso ora con la tecnica, ora con ardimenti gestuali e vocali, ora con luoghi comuni e più o meno centrate riflessioni poetiche sullo sfondo di una Roma come raccontata da un turista dopo averla visitata appena qualche giorno. Dalla Murgia Coixet trae un sogno più o meno lucido, come la fantasia speranzosa e arrabbiata di chi, lasciato, si sente vittima di ogni ingiustizia e si augura quella finale, per godere della pena e del senso di colpa negli occhi di colui che ha lasciato. Per fortuna però Marta non cerca la pena di nessuno, in compenso i sogni sono sogni e, quando poi ci svegliamo, non siamo mai arrivati al punto. Ugualmente va la storia di Marta, e identico è l’esito di Tre ciotole.

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Dal punto di vista drammaturgico “tradisce” Murgia, prende questo rischio calcolato consapevole che è l’unico modo per restarle fedele lì dove conta: dal punto di vista etico e sentimentale. Nel suo terzo atto, Tre ciotole (il film) è il compimento del messaggio che Murgia ha voluto lanciare non solo con Tre ciotole (il libro) ma anche con la sua malattia. Nel modo in cui Marta “accoglie” il tumore risuonano le parole che Murgia pronunciò in quella intervista che colpì tanti così tanto«Parole come lotta, guerra, trincea… Il cancro è una malattia molto gentile. Può crescere per anni senza farsene accorgere». E ancora: «Il cancro non è una cosa che ho; è una cosa che sono». Se si volesse ridurre questo film a un merito soltanto, sarebbe dunque quello di chiarire definitivamente un equivoco che va avanti da quanto il libro Tre ciotole è uscito e da quando Murgia rivelò la sua diagnosi: sì, in questa storia, in queste storie, si parla di malattia ma no, non di morte. Quasi per niente di morte. Semmai il contrario.

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È, probabilmente, una mera coincidenza, eppure sembra fatta apposta la scelta di Francesco Carril come interprete del professore di filosofia con cui Marta scambia, forse, il suo ultimo bacio – "mi puoi baciare" gli chiede Marta a là Otello. L'attore spagnolo porta alla mente l'apprezzatissima serie tv diretta da Rodrigo Sorogoyen "Dieci Capodanni" di cui è protagonista, a cui, forse, "Tre ciotole" farebbe pensare ugualmente. Sì, perché anche i dieci episodi di "Los años nuevos" (il titolo originale spagnolo) mostrano inequivocabilmente quanto inizio e fine si assomigliano (anche se ripetuti per dieci volte consecutive per dieci anni diversi). In "Tre ciotole" questo duetto, che è quello classicissimo tra eros e thanatos, porta con sé anche l'altra grande meta di Sorogoyen, ovvero il suggerimento proustiano (soprattutto nel primo libro della "Recherche", "Dalla parte di Swan") secondo cui l'amore muore quando perde la sua componente adolescenziale…

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Tre ciotole è un film che, seppur profondamente distante dallo stile scabro e diretto di Michela Murgia, gli è affine per approccio e capacità empatica. La scelta di accantonare la coralità del breve romanzo originale - dodici piccoli racconti su diversi personaggi - per concentrarsi esclusivamente sui due protagonisti permette alla regista spagnola e al co-sceneggiatore Enrico Audenino di imbastire un racconto che tratta una doppia perdita: quella del sentimento d'amore e quella della salute. Come se la sofferenza emotiva fosse anticamera di quella ben più esiziale del corpo, Sonia sperimenta in breve due sconfitte da cui una donna leggermente anaffettiva come lei difficilmente sarebbe potuta uscire fuori. E invece la riscoperta della perduta umanità, purtroppo esemplificata dalla scelta registica di far riapparire come lampi i ricordi felici in grana simil 8mm, la porta fuori dalla “comfort zone” di cui l’aveva accusata il compagno in quel diverbio domestico prima della rottura permettendole di accorgersi, tra l’altro, degli atti autolesionistici delle due allieve Giulia e Flaminia. Coixet è bravissima quando si prende il tempo di personalizzare la poesia capitolina di una città che sembra rispondere alle sollecitazioni di una delle sue cittadine più sfortunate attraverso sprazzi visivi inusitati e delicati (le inflazionate Trastevere e Pigneto sono connotate con lo stupore di chi non ci vive); è meno originale, invece, quando deve portare in scena il dramma della sua protagonista, irrelata in un immobilismo supponente e rigidamente borghese (l’antipatia verso la sorella più borderline, i mancati rapporti umani dettati da un’indisponente mancanza di curiosità). Così Tre ciotole finisce per dare eccessivo spazio alla separazione affettiva della poco simpatica Sonia piuttosto che alla sua malattia, perdendo il cuore di una storia che annoierebbe anche al vernissage cui partecipa chissà per quale motivo o alla cena post-mortem in cui si riunisce il clan familiare e amicale della protagonista, in un evidente tributo – ma poco riuscito - alla vera vicenda occorsa a Michela Murgia.

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Isabel Coixet rispetta il mondo che ha circondato, protetto e amato Michela Murgia. Roma diventa la vera coprotagonista di questa complessa storia d’amore e la racconta trasformando le pagine di Tre Ciotole in un film che ha tantissimi echi morettiani.

Il giro in scooter per conoscere i quartieri della Capitale locali per locali che ricordano molto Caro Diario, una citazione esplicita con il primo piano del Nuovo Sacher e anche la stessa struttura narrativa del film ricorda molto il tanto criticato Tre Piani.

Da un certo punto di vista il punto di forza del film, ossia l’interpretazione di Alba Rohrwacher con Elio Germano a supporto, rischia di diventare anche il punto di debolezza. La grandezza dei loro personaggi rischia di oscurare l’interpretazione e il ruolo dei ruoli secondari che rischiano di rimanere ai margini come il collega sottone innamorato che già al terzo Miss Marta si meriterebbe la “FriendZone” o Elisa la sorella di Marta che meriterebbe un focus tutto suo vista la bravura di Silvia D’Amico.

Peccati veniali che comunque non inficiano più di tanto il valore finale dell’opera che rimane per me una piacevole sorpresa.

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