tratto da un romanzo di Thomas Pynchon (Vineland), il film di PTAnderson racconta una storia avvincente, con attori e attrici bravissimi (e Willa, la figlia di Di Caprio nel film, che bellissima sorpresa!).
un gruppo in clandestinità combatte il Potere, con azioni eclatanti, come la liberazione dei migranti imprigionati (che coincidenza, come oggi!).
il film comincia a 100 all'ora, poi rallenta, il gruppo viene decimato e cerca di proteggersi per anni dai soldati statiunitensi guidati dal maniaco Sean Penn.
una cosa importante che sembra folle, ma non troppo, è la società segreta razzista e suprematista, una specie di mafia/massoneria, sembra laterale rispetto alla storia, ma tutto torna.
le società segrete e misteriose (sono loro il Potere vero), appaiono in un libro di Paul Auster (La musica del caso, bellissimo, come tutti i suoi libri, ne è stato tratto anche un film) e in Eyes wide shut, di Stanley Kubrick.
in Una battaglia dopo l’altra ci sono tanti colpi di scena che riempiono gli occhi e le menti, che quando si esce si resta soddisfatti, senza alcun dubbio.
uno dei film più belli dell'anno, da non perdere, Paul Thomas Anderson fa pochi film, ma ottimi.
buona (resistente) visione - Ismaele
...Una
battaglia dopo l’altra spaventa
e diverte, galvanizza e disarma. Ha fatto impazzire Spielberg, che l’ha visto
tre volte e l’ha paragonato al Dottor Stranamore: “Arrivi a un
punto dove vuoi ridere, perché se non ti metti a ridere inizi ad urlare”, ha
detto. “È tutto troppo reale”. Troppo vicino, troppo adesso. È un nuovo
classico: un film d’Autore che diventa un blockbuster ineluttabile. È il lavoro
di un Cineasta al massimo della forma, capace di raccogliere il delirio
dell’attualità e di farne – lo dico? Sì, lo dico – un capolavoro contemporaneo.
Politicamente
affilato senza mai essere moralista, Anderson costruisce un racconto ricco di
azione, che una volta ingranata la marcia non si ferma più, e che sa alternare
l’epica incendiaria a momenti di comicità folgorante. È un film che ha la forza
delle proprie convinzioni: ride, sì, ma ride con i denti stretti, perché dietro
la risata c’è la vertigine dell’analisi spietata sugli Stati Uniti che non sono
mai stati tanto sull’orlo del collasso. Eppure PTA non cede mai alla tentazione
del pamphlet: i suoi personaggi restano al centro, con le loro fragilità, i
loro fallimenti, le loro ombre. La rivoluzione resta sempre e comunque un fatto
umano, prima che politico.
E
proprio per questo Una battaglia dopo l’altra è forse il
film più radicale della sua filmografia: se Il petroliere era
una tragedia americana, se The Master era un duello
filosofico, se Licorice Pizza era una lettera d’amore
adolescenziale, qui c’è tutto, insieme: manifesto, farsa, melodramma, satira,
epopea familiare, tragedia contemporanea. È l’atto con cui Anderson accetta il
caos del presente e lo trasforma in Cinema purissimo. Esattamente quel tipo di
ossessione che sogniamo di poter chiamare “film dell’anno”. O forse del
decennio.
…l’esordiente
al cinema Chase Infiniti, che è la vera protagonista di Una
battaglia dopo l’altra. Supportata da un personaggio magnificamente
sviluppato, l’attrice lo mette in scena con un virtuosismo trattenuto degno di
colleghe molto più esperte. Infiniti tratteggia una Willa confusa, curiosa,
spaventata ma mai passiva di fronte agli eventi drammatici che le se presentano
di fronte. Il senso di pragmatica seppur dolorosa accettazione con cui pian
piano deve fare i conti col proprio passato, viene raccontato espresso una
prova ammirevole. Negli occhi dell’attrice passa tutto il mondo interiore del
personaggio, che noi spettatori non dobbiamo neppure comprendere con chiarezza
perché quegli stessi occhi vogliono nasconderlo, proteggerlo dal pericolo,
mentre invece lo suggeriscono con una tale forza espressiva da renderlo
emozionante. In un lungometraggio decentrato, fragoroso e ondivago come Una
battaglia dopo l’altra, Chase Infiniti e la sua Willa
rappresentano invece un punto di riferimento indiscutibile…
…Eccezionale
il cast, con un Leonardo Di Caprio che finalmente riesce a lavorare con PTA
dopo il rifiuto, di cui ora si dice pentito, di "Boogie nights", con
una caratterizzazione esilarante ma al tempo stesso di forte risalto espressivo
del suo bombarolo anarchico dipendente dagli stupefacenti, ma pronto a
riesumare la propria dignità di padre e di essere umano in nome degli ideali
per cui ha lottato una vita intera. Nel ricco cast di supporto si distinguono
il citato Sean Penn, un Benicio Del Toro improbabile ma commovente, una Teyana
Taylor di oscuro sex appeal e una Chase Infiniti che dà alla figlia Willa
vibrazioni ribelli adolescenziali che arricchiscono ulteriormente la tastiera
emotiva di questo grande Romanzo Americano. Le musiche di Jonny Greenwood
sono ormai un marchio di fabbrica del cinema di PTA, ma servono benissimo molte
sequenze soprattutto di inseguimento, per il resto non serve fare la lista dei
contributi tecnici, ma la cosa migliore è abbandonarsi ancora una volta alla
magia del cinema di questo grande affabulatore, che ormai fa un film ogni 4/5
anni, e si spera che stavolta gli incassi siano elevati e che magari arrivino i
tanto sospirati premi Oscar.
…Paul Thomas Anderson realizza l’action politico che
voleva fare da anni e che riesce a portare a termine mettendo insieme Pynchon e
un budget, secondo le fonti Warner, di 130 milioni di dollari. Intende cogliere
lo spirito dei tempi raccontando, con sfumature grottesche, le rivoluzioni (o
le imminenti guerre civili?) di oggi. Punta l’intera posta sulla struggente
utopia autoriale intrapresa da Welles, Coppola, Cimino, ovvero il kolossal
hollywoodiano filo-marxista, fino a incunearsi coraggiosamente nelle afose
terre di confine di Sam Peckinpah e negli inseguimenti deliranti di William
Friedkin. Sorprendente. E poi c’è il film “privato” di Anderson, quello che
alla fine si scioglie nella sua tematica prediletta che è la Famiglia. Con la
Willa di Chase Infiniti che diventa il tipico personaggio “figlio”
andersoniano, costretto a sopravvivere alle “colpe” di padri e madri e a
costruire da solo il suo Tempo, il suo Destino. Mentre la linea temporale di Di
Caprio è claudicante, sempre in ritardo, al perenne inseguimento delle donne
che ama (la compagna, la figlia). E quella di Sean Penn è frammentata, tragica,
contro-Natura, scissa tra il desiderio e la sua soppressione, tra l’istinto
biologico della paternità e quello artificiale, massonico, dell’America
reazionaria. Un film di traiettorie pazze e indecifrabili questo di PTA. Linee
dritte, parallele, spezzate. Traiettorie sentimentali, politiche e familiari
incompiute, che si incrociano, si inseguono, si guardano a distanza da uno
specchietto retrovisore, come nella straordinaria sequenza ipnotica
dell’inseguimento in macchina in mezzo al deserto. L’unico ricongiungimento
possibile è quello dell’abbraccio, ovviamente. Il “riconoscimento” tra padri e
figli. Si torna sempre lì. È quello il Tempo Assoluto per Paul Thomas Anderson.
Fino alla prossima battaglia, da far combattere ai figli… magari
ascoltando American Girl di Tom Petty and
the Heartbreakers.
E così, mentre siamo
qui a domandarci cosa ci sta succedendo intorno e come salvare o amare quello
che abbiamo, Anderson ci regala il suo “classico” meticcio, già memorabile,
finalmente consegnato al suo e al nostro Tempo. Ma, chissà, forse Una battaglia dopo l’altra è semplicemente una
magnifica, fottuta allucinazione collettiva… sulle rivoluzioni che abbiamo o
non abbiamo immaginato di fare. Sul mondo in cui stiamo vivendo.
…Una
battaglia dopo l’altra quindi, attorno all’ora e mezza comincia a
rallentare, anzi quasi si ferma verso un’ultima mezz’ora che prima attraversa
una parentesi di confine (lasciamo stare il vacuo inserimento del personaggio
di Benicio Del Toro) e poi si disloca in un lungo inseguimento/duello tra
larghe cunette di infinite autostrade nel deserto tra una mezza dozzina di auto
e di personaggi. Un’ultima parte classicamente risolutiva e rassicurante che
deve tutto al debito che ogni cineasta statunitense ha con il western di Ford qui
in versione Strada a doppia corsia di Monte Hellman. Insomma, Una battaglia dopo l’altra è molto meccanismo e ipotetica emozione, con rappresentazione
del potere e contropotere che bussano alle porta della farsa. Ispirato alla lontana a Vineland, quarto romanzo di
Thomas Pynchon. Se nessuno ci viene a cercare scriviamo che l’unico momento in
cui DiCaprio recita da Dio è negli ultimi cinque minuti di film quando
chiacchiera calmo con Willa e cerca di farsi un selfie con il flash.
Film straordinario, con interpreti grandiosi. Il film più politico di Anderson, una distopia talmente reale che sembra (purtroppo) vera. E un malinconico canto del cigno sulla "revoluciòn"... magnifico.
RispondiEliminauno di quei film che resteranno
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