lunedì 29 settembre 2025

Una battaglia dopo l’altra - Paul Thomas Anderson

tratto da un romanzo di Thomas Pynchon (Vineland), il film  di PTAnderson racconta una storia avvincente, con attori e attrici bravissimi (e Willa, la figlia di Di Caprio nel film, che bellissima sorpresa!).

un gruppo in clandestinità combatte il Potere, con azioni eclatanti, come la liberazione dei migranti imprigionati (che coincidenza, come oggi!).

il film comincia a 100 all'ora, poi rallenta, il gruppo viene decimato e cerca di proteggersi per anni dai soldati statiunitensi guidati dal maniaco Sean Penn.

una cosa importante che sembra folle, ma non troppo, è la società segreta razzista e suprematista, una specie di mafia/massoneria, sembra laterale rispetto alla storia, ma tutto torna.

le società segrete e misteriose (sono loro il Potere vero), appaiono in un libro di Paul Auster (La musica del caso, bellissimo, come tutti i suoi libri, ne è stato tratto anche un film) e in Eyes wide shut, di Stanley Kubrick.

in Una battaglia dopo l’altra ci sono tanti colpi di scena che riempiono gli occhi e le menti, che quando si esce si resta soddisfatti, senza alcun dubbio.

uno dei film più belli dell'anno, da non perdere, Paul Thomas Anderson fa pochi film, ma ottimi.

buona (resistente) visione - Ismaele

 

 

 

 

...Una battaglia dopo l’altra spaventa e diverte, galvanizza e disarma. Ha fatto impazzire Spielberg, che l’ha visto tre volte e l’ha paragonato al Dottor Stranamore: “Arrivi a un punto dove vuoi ridere, perché se non ti metti a ridere inizi ad urlare”, ha detto. “È tutto troppo reale”. Troppo vicino, troppo adesso. È un nuovo classico: un film d’Autore che diventa un blockbuster ineluttabile. È il lavoro di un Cineasta al massimo della forma, capace di raccogliere il delirio dell’attualità e di farne – lo dico? Sì, lo dico – un capolavoro contemporaneo.

Politicamente affilato senza mai essere moralista, Anderson costruisce un racconto ricco di azione, che una volta ingranata la marcia non si ferma più, e che sa alternare l’epica incendiaria a momenti di comicità folgorante. È un film che ha la forza delle proprie convinzioni: ride, sì, ma ride con i denti stretti, perché dietro la risata c’è la vertigine dell’analisi spietata sugli Stati Uniti che non sono mai stati tanto sull’orlo del collasso. Eppure PTA non cede mai alla tentazione del pamphlet: i suoi personaggi restano al centro, con le loro fragilità, i loro fallimenti, le loro ombre. La rivoluzione resta sempre e comunque un fatto umano, prima che politico.

E proprio per questo Una battaglia dopo l’altra è forse il film più radicale della sua filmografia: se Il petroliere era una tragedia americana, se The Master era un duello filosofico, se Licorice Pizza era una lettera d’amore adolescenziale, qui c’è tutto, insieme: manifesto, farsa, melodramma, satira, epopea familiare, tragedia contemporanea. È l’atto con cui Anderson accetta il caos del presente e lo trasforma in Cinema purissimo. Esattamente quel tipo di ossessione che sogniamo di poter chiamare “film dell’anno”. O forse del decennio.

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l’esordiente al cinema Chase Infiniti, che è la vera protagonista di Una battaglia dopo l’altra. Supportata da un personaggio magnificamente sviluppato, l’attrice lo mette in scena con un virtuosismo trattenuto degno di colleghe molto più esperte. Infiniti tratteggia una Willa confusa, curiosa, spaventata ma mai passiva di fronte agli eventi drammatici che le se presentano di fronte. Il senso di pragmatica seppur dolorosa accettazione con cui pian piano deve fare i conti col proprio passato, viene raccontato espresso una prova ammirevole. Negli occhi dell’attrice passa tutto il mondo interiore del personaggio, che noi spettatori non dobbiamo neppure comprendere con chiarezza perché quegli stessi occhi vogliono nasconderlo, proteggerlo dal pericolo, mentre invece lo suggeriscono con una tale forza espressiva da renderlo emozionante. In un lungometraggio decentrato, fragoroso e ondivago come Una battaglia dopo l’altraChase Infiniti e la sua Willa rappresentano invece un punto di riferimento indiscutibile…

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Eccezionale il cast, con un Leonardo Di Caprio che finalmente riesce a lavorare con PTA dopo il rifiuto, di cui ora si dice pentito, di "Boogie nights", con una caratterizzazione esilarante ma al tempo stesso di forte risalto espressivo del suo bombarolo anarchico dipendente dagli stupefacenti, ma pronto a riesumare la propria dignità di padre e di essere umano in nome degli ideali per cui ha lottato una vita intera. Nel ricco cast di supporto si distinguono il citato Sean Penn, un Benicio Del Toro improbabile ma commovente, una Teyana Taylor di oscuro sex appeal e una Chase Infiniti che dà alla figlia Willa vibrazioni ribelli adolescenziali che arricchiscono ulteriormente la tastiera emotiva di questo grande Romanzo Americano. Le musiche di Jonny Greenwood sono ormai un marchio di fabbrica del cinema di PTA, ma servono benissimo molte sequenze soprattutto di inseguimento, per il resto non serve fare la lista dei contributi tecnici, ma la cosa migliore è abbandonarsi ancora una volta alla magia del cinema di questo grande affabulatore, che ormai fa un film ogni 4/5 anni, e si spera che stavolta gli incassi siano elevati e che magari arrivino i tanto sospirati premi Oscar.

da qui

 

Paul Thomas Anderson realizza l’action politico che voleva fare da anni e che riesce a portare a termine mettendo insieme Pynchon e un budget, secondo le fonti Warner, di 130 milioni di dollari. Intende cogliere lo spirito dei tempi raccontando, con sfumature grottesche, le rivoluzioni (o le imminenti guerre civili?) di oggi. Punta l’intera posta sulla struggente utopia autoriale intrapresa da Welles, Coppola, Cimino, ovvero il kolossal hollywoodiano filo-marxista, fino a incunearsi coraggiosamente nelle afose terre di confine di Sam Peckinpah e negli inseguimenti deliranti di William Friedkin. Sorprendente. E poi c’è il film “privato” di Anderson, quello che alla fine si scioglie nella sua tematica prediletta che è la Famiglia. Con la Willa di Chase Infiniti che diventa il tipico personaggio “figlio” andersoniano, costretto a sopravvivere alle “colpe” di padri e madri e a costruire da solo il suo Tempo, il suo Destino. Mentre la linea temporale di Di Caprio è claudicante, sempre in ritardo, al perenne inseguimento delle donne che ama (la compagna, la figlia). E quella di Sean Penn è frammentata, tragica, contro-Natura, scissa tra il desiderio e la sua soppressione, tra l’istinto biologico della paternità e quello artificiale, massonico, dell’America reazionaria. Un film di traiettorie pazze e indecifrabili questo di PTA. Linee dritte, parallele, spezzate. Traiettorie sentimentali, politiche e familiari incompiute, che si incrociano, si inseguono, si guardano a distanza da uno specchietto retrovisore, come nella straordinaria sequenza ipnotica dell’inseguimento in macchina in mezzo al deserto. L’unico ricongiungimento possibile è quello dell’abbraccio, ovviamente. Il “riconoscimento” tra padri e figli. Si torna sempre lì. È quello il Tempo Assoluto per Paul Thomas Anderson. Fino alla prossima battaglia, da far combattere ai figli… magari ascoltando American Girl di Tom Petty and the Heartbreakers.

E così, mentre siamo qui a domandarci cosa ci sta succedendo intorno e come salvare o amare quello che abbiamo, Anderson ci regala il suo “classico” meticcio, già memorabile, finalmente consegnato al suo e al nostro Tempo. Ma, chissà, forse Una battaglia dopo l’altra è semplicemente una magnifica, fottuta allucinazione collettiva… sulle rivoluzioni che abbiamo o non abbiamo immaginato di fare. Sul mondo in cui stiamo vivendo.

da qui

 

…Una battaglia dopo l’altra quindi, attorno all’ora e mezza comincia a rallentare, anzi quasi si ferma verso un’ultima mezz’ora che prima attraversa una parentesi di confine (lasciamo stare il vacuo inserimento del personaggio di Benicio Del Toro) e poi si disloca in un lungo inseguimento/duello tra larghe cunette di infinite autostrade nel deserto tra una mezza dozzina di auto e di personaggi. Un’ultima parte classicamente risolutiva e rassicurante che deve tutto al debito che ogni cineasta statunitense ha con il western di Ford qui in versione Strada a doppia corsia di Monte Hellman. Insomma, Una battaglia dopo l’altra è molto meccanismo e ipotetica emozione, con rappresentazione del potere e contropotere che bussano alle porta della farsa. Ispirato alla lontana a Vineland, quarto romanzo di Thomas Pynchon. Se nessuno ci viene a cercare scriviamo che l’unico momento in cui DiCaprio recita da Dio è negli ultimi cinque minuti di film quando chiacchiera calmo con Willa e cerca di farsi un selfie con il flash.

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2 commenti:

  1. Film straordinario, con interpreti grandiosi. Il film più politico di Anderson, una distopia talmente reale che sembra (purtroppo) vera. E un malinconico canto del cigno sulla "revoluciòn"... magnifico.

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