martedì 19 agosto 2025

L’erede - Xavier Lagrande

un film che inizia come tanti e poi il Male prende il sopravvento. 

il bravissimo Marc-André Grondin (l'erede) sostiene tutto il film sulle sue spalle. e sulle sue lacrime.

la morte del padre, che non vedeva da molti anni, con cui non andava d'accordo (è un eufemismo), lo costringe a tornare il Canada per le esequie e la burocrazia dell'eredità.

ma non sono tempi facili, e, bene o male, il figlio diventa come il padre, cosa che sempre ha odiato.

ma guardatevi il film, nessuno resterà deluso, anzi...

buona (drammatica) visione - Ismaele




QUI si può vedere il film completo, su Raiplay

 

 

Il regista francese dimostra una sbalorditiva capacità di creare tensione disseminando indizi che si ricompongono con sapienza magistrale in un finale perfetto. È proprio nel climax che le inquietudini del protagonista – radicate in un conflitto edipico mai risolto col padre e covate silenziosamente per tutta la narrazione – trovano una risposta compiuta. Legrand affila con precisione chirurgica gli strumenti del thriller psicanalitico, orchestrando un meccanismo narrativo in cui la casa di famiglia si trasforma in una trappola simbolica, e l’eredità – più che economica – è quella di un destino tossico, paterno, ingombrante e forse, chissà, persino genetico. La sua regia tratteggia un personaggio spaesato, intrappolato tra il panico, l’asma e la paura che il male, oltre a farsi sistema, si tramandi come un mobile antico. Certo, qualche passaggio narrativo della prima parte non sembra indispensabile, ma l’ultima mezz’ora – sconcertante, se non devastante – restituisce senso e necessità all’intero racconto. La tassa da pagare, da bravo erede, è salatissima.

da qui

 

L’erede torna agli spazi e vuoti oscuri della memoria e del trauma familiare, scavando sempre più a fondo, fino a raggiungere il marcio e così l’oscurità, quella vera, rispetto al male che gli uomini fanno, nonostante le vittime siano padri, nonostante le vittime siano figli. La stessa oscurità che L’affido in qualche modo risolveva in un finale brutale e cupo, eppure conciliatorio. La stessa che qui non ha limiti. Poiché al contrario de L’affido, la scrittura – e così la regia – di L’erede, non intende più limitarsi agli stilemi del dramma familiare, muovendosi abilmente tra i linguaggi del thriller e dell’horror. Cosa si nasconde nella casa del padre? Qual è il reale significato di questo titolo così simbolico? E ancora, quanto è vero, che dai padri controvoglia o meno, si finisce sempre per ereditare una parte di sé?

Un’indagine sul male, celato nell’ordinarietà più spaventosa, che serpeggia e sussurra impunito, tra le stradine di un quartiere residenziale e le vite tranquille e dolorose di volti e corpi segnati dal tempo. Ingenui talvolta e per questo così inebetiti di fronte alle regole della violenza e dell’oscurità. Quella che il giovane e ignaro Ellias è chiamato a smascherare, correndo il rischio di assumerla su di sé, aderendole perfettamente, pur dichiarandosene estraneo.

Un cinema angosciante, brutale e laconico, che se inizialmente sembra richiamare l’immaginario di Tom Ford (Animali notturni), via via che l’orrore prende piede, ritrova sempre più tanto l’ambiguo e orrorifico Tom à la ferme di Xavier Dolan, quanto la disperazione cupa del Prisoners di Denis Villeneuve. Le colpe dei padri ancora ricadono sui figli e con esse le maschere e i volti reali che l’oscurità ha da sempre celato. Porta via ad un uomo la sua famiglia e il male arriverà. È su questo che ragiona il cinema di Legrand, è qui che l’horror dialoga con il reale e fa paura, molta.

https://www.sentieriselvaggi.it/lerede-di-xavier-legrand/

 

L’aspetto più interessante è però, ancora una volta, la riflessione su come il maschile tenda a sopraffare il femminile, cioè sull’ombra venefica del patriarcato. Ellias, da stilista qual è, tende a oggettificare le donne, arrivando persino ad “uccidere” la musa del suo stesso mentore, per poi avere a che fare con il segreto del padre e con il rapporto malsano di quest’ultimo verso il sesso femminile. Legrand ha parlato di Hitchcock e Lang  nello stile e nel tono con cui ha deciso di approcciarsi a questa storia, ma forse i riferimenti sono troppo alti e non così necessari. Quel che però è certo è che L’erede è ben costruito anche nel modo in cui gestisce la propria tensione drammaturgica, aspetto per niente scontato.

Grazie all’intelligenza della messinscena e alla propria portata oscura nel suo rifarsi ai topos della tragedia greca, il film è un assalto ben assestato ai nervi dello spettatore, efficace come thriller claustrofobico ma anche come riflessione stridente su fino a che punto può spingersi un uomo per proteggere la propria eredità spirituale. Certo, qualche incertezza di scrittura non manca e nella parte centrale gli eventi tendono un po’ troppo a trascinarsi senza un’apparente direzione, ma il risultato è quello di una suggestione morbosa che non lascia andare facilmente lo spettatore anche dopo i titoli di coda. Ancora una volta, non era scontato.

da qui

 


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