un film che inizia come tanti e poi il Male prende il sopravvento.
il bravissimo Marc-André Grondin (l'erede) sostiene tutto il film sulle sue spalle. e sulle sue lacrime.
la morte del padre, che non vedeva da molti anni, con cui non andava d'accordo (è un eufemismo), lo costringe a tornare il Canada per le esequie e la burocrazia dell'eredità.
ma non sono tempi facili, e, bene o male, il figlio diventa come il padre, cosa che sempre ha odiato.
ma guardatevi il film, nessuno resterà deluso, anzi...
buona (drammatica) visione - Ismaele
QUI si può vedere il film completo, su Raiplay
…Il regista francese dimostra una sbalorditiva capacità
di creare tensione disseminando indizi che si ricompongono con sapienza
magistrale in un finale perfetto. È proprio nel climax che le inquietudini del
protagonista – radicate in un conflitto edipico mai risolto col padre e covate
silenziosamente per tutta la narrazione – trovano una risposta compiuta.
Legrand affila con precisione chirurgica gli strumenti del thriller
psicanalitico, orchestrando un meccanismo narrativo in cui la casa di famiglia
si trasforma in una trappola simbolica, e l’eredità – più che economica – è
quella di un destino tossico, paterno, ingombrante e forse, chissà, persino
genetico. La sua regia tratteggia un personaggio spaesato, intrappolato tra il
panico, l’asma e la paura che il male, oltre a farsi sistema, si tramandi come
un mobile antico. Certo, qualche passaggio narrativo della prima parte non
sembra indispensabile, ma l’ultima mezz’ora – sconcertante, se non devastante –
restituisce senso e necessità all’intero racconto. La tassa da pagare, da bravo
erede, è salatissima.
…L’erede torna agli spazi e vuoti oscuri della memoria e del
trauma familiare, scavando sempre più a fondo, fino a raggiungere il marcio e
così l’oscurità, quella vera, rispetto al male che gli uomini fanno, nonostante
le vittime siano padri, nonostante le vittime siano figli. La stessa oscurità
che L’affido in qualche modo risolveva in un finale
brutale e cupo, eppure conciliatorio. La stessa che qui non ha limiti. Poiché
al contrario de L’affido, la scrittura – e così la
regia – di L’erede, non intende più limitarsi
agli stilemi del dramma familiare, muovendosi abilmente tra i linguaggi del
thriller e dell’horror. Cosa si nasconde nella casa del padre? Qual è il reale
significato di questo titolo così simbolico? E ancora, quanto è vero, che dai
padri controvoglia o meno, si finisce sempre per ereditare una parte di sé?
Un’indagine sul male,
celato nell’ordinarietà più spaventosa, che serpeggia e sussurra impunito, tra
le stradine di un quartiere residenziale e le vite tranquille e dolorose di
volti e corpi segnati dal tempo. Ingenui talvolta e per questo così inebetiti
di fronte alle regole della violenza e dell’oscurità. Quella che il giovane e
ignaro Ellias è chiamato a smascherare, correndo il rischio di assumerla su di
sé, aderendole perfettamente, pur dichiarandosene estraneo.
Un cinema angosciante,
brutale e laconico, che se inizialmente sembra richiamare l’immaginario di Tom
Ford (Animali notturni), via via che l’orrore prende piede,
ritrova sempre più tanto l’ambiguo e orrorifico Tom à la ferme di Xavier Dolan, quanto la
disperazione cupa del Prisoners di Denis Villeneuve. Le colpe dei padri
ancora ricadono sui figli e con esse le maschere e i volti reali che l’oscurità
ha da sempre celato. Porta via ad un uomo la sua famiglia e il male arriverà. È
su questo che ragiona il cinema di Legrand, è qui che l’horror dialoga con il
reale e fa paura, molta.
https://www.sentieriselvaggi.it/lerede-di-xavier-legrand/
… L’aspetto più
interessante è però, ancora una volta, la riflessione su come il maschile tenda a sopraffare il
femminile, cioè sull’ombra venefica del patriarcato. Ellias, da
stilista qual è, tende a oggettificare le donne, arrivando persino ad
“uccidere” la musa del suo stesso mentore, per poi avere a che fare con il
segreto del padre e con il rapporto malsano di quest’ultimo verso il sesso
femminile. Legrand ha parlato di Hitchcock e Lang nello stile e nel tono
con cui ha deciso di approcciarsi a questa storia, ma forse i riferimenti sono troppo alti e non
così necessari. Quel che però è certo è che L’erede è
ben costruito anche nel modo in cui gestisce la propria tensione drammaturgica,
aspetto per niente scontato.
Grazie all’intelligenza della
messinscena e alla propria portata oscura nel suo rifarsi ai topos della tragedia greca, il
film è un assalto ben assestato ai nervi dello spettatore, efficace come thriller
claustrofobico ma anche come riflessione stridente su fino a che punto può
spingersi un uomo per proteggere la propria eredità spirituale. Certo,
qualche incertezza di scrittura non manca e nella parte centrale gli eventi
tendono un po’ troppo a trascinarsi senza un’apparente direzione, ma il
risultato è quello di una suggestione morbosa che non lascia andare facilmente
lo spettatore anche dopo i titoli di coda. Ancora una volta, non era scontato.
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