giovedì 28 agosto 2025

Drug War – Johnny To

la polizia vuole smantellare una rete di trafficanti di droga e, grazie a un trafficante che diventa pentito/collaboratore, riesce a trovare tanti tasselli del traffico di droga.

i poliziotti sono coraggiosi e rischiano la vita ogni momento, ma quel pentito/collaboratore fa il doppio e triplo gioco, e tiene in scacco la polizia, vuole solo salvarsi, a qualsiasi costo.

alla fine non si salva quasi nessuno, e la pena di morte chiude i conti, almeno temporaneamente.

un gran bel film, da non perdere.

buona (drogata) visione - Ismaele

 

 

QUI si può vedere il film completo, su Raiplay

 

 

 

…To è il Michael Mann d'oriente ed impone un ritmo solenne al film.  Satura la tensione decellerando i tempi del racconto , descrivendo le mosse della polizia e dei trafficanti quasi con piglio documentaristico; doppie facce ed inganni sono all'ordine del giorno, campanelli d'allarme e anticamere di agguati , inseguimenti e sparatorie che verranno , tutti elementi  inscenati questa volta (contrariamente al solito) con il contagocce; una guerra senza quartiere, un incubo lungo novanta minuti, “guardie e ladri” come si faceva una volta, disposti a tutto pur di averla vinta, non importa che si tratti di sordomuti o capitani della polizia; si fa sempre in tempo a morire.

E poi quel finale in strada tutti contro tutti, ineluttabile e brutale, senza pietà, coreografato magistralmente come il marchio “To” impone. Un’altra ottima prova che soddisferà gli appassionati del genere ed i fans del regista. Ma attenzione al ritmo: non è elevatissimo e chi si aspetta troppa azione potrebbe rimanere deluso. Per me un film fantastico…

da qui

 

…Non è tanto la mannaia della censura cinese ad aver alterato Johnnie To, quanto quest’ultimo ad essersi adattato alle sue rigide maglie: ideali per celebrare il funerale di una cinema che non esiste più, lo stesso che nella nuova/vecchia Cina cresce verso l’età consapevole, conserva intatta la sua stilistica muscolarità ma rinuncia all’eroismo di fondo e inizia a contare i cadaveri che si lascia dietro.

Non ci sono eroi in Drug War, solo pedine e galoppini appartenenti a due sistemi contrapposti: come tali non meritano celebrazione o approfondimento caratteriale alcuno.
Gli eroi del primo To non morivano mai e se lo facevano venivano consegnati all’immortalità come l’Alain Delon al quale si ispiravano.
Louis Koo non è un eroe ma un codardo qualunque, un irresponsabile, un traditore: non merita eternità iconica bensì la conseguenza naturale delle sue gesta prive di onore, inconciliabili con qualsiasi codice di lealtà malavitosa.
Johnnie To è il primo a saperlo e lo abbandona al suo stomachevole destino, lasciandolo in preda al suo falso e disperato farneticare. Illudendolo, solo per un attimo, che una preghiera possa ancora salvargli la vita.

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…Drug War è inoltre un film fondamentale per il nuovo corso del cinema cinese: per la prima volta il pessimismo cosmico del noir e del poliziesco di Hong Kong non vengono colorati di rosa confetto durante il passaggio dalla piccola città-stato alla Mainland China. Anzi, To si permette di disquisire di droga e pena di morte, due argomenti su cui il governo centrale di Pechino preferirebbe il silenzio mediatico e artistico. Da questo punto di vista la sequenza finale, con la messa in scena dell’esecuzione legalizzata tramite iniezione di veleno – dopo che il film aveva passato la precedente ora e mezza a mettere alla berlina gli omicidi e la droga come elemento di svago dalla realtà – rappresenta un pugno nello stomaco difficile da sopportare, e una critica neanche troppo velata alle scelte del governo cinese. Per tutto questo, e forse per molto altro ancora, non riconoscere la grandezza di Drug War potrebbe essere un errore di cui pentirsi amaramente negli anni a venire…

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…Non a caso il film inizia mostrandoci il più squallido e straziante prodotto della miseria figlia del capitalismo: gli essere umani ridotti a contenitori viventi di ovuli di coca, ingeriti e trasportati nel ventre, poi espulsi quando (e se) si arriva a destinazione.

Se poi, cazzo, tale espulsione ed il conseguente lavaggio degli ovuli avvengono davanti ai miei occhi mentre mangio salmone affumicato, l’effetto disturbante è amplificato a dismisura.

Il disturbo è durato mezzo secondo comunque, ho ripreso subito a mangiare con gusto.

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Il racconto segue le vicende di una squadra di polizia che, come magari il titolo potrebbe far intuire, è impegnata nella lotta al traffico di droga. Tutto viene raccontato attraverso il punto di vista dei poliziotti e infatti, per una volta, non ci si trova di fronte al classico melodramma orientale tutto onore ed eleganza criminale. Gli unici lampi di "simpatia criminosa" arrivano da Jimmy Choi, un trafficante costretto dalla polizia a fare il doppio gioco per sostenere una complessa rete di schemi in cui praticamente chiunque, fra poliziotti e criminali, si nasconde dietro una maschera. Gran parte del film ruota attorno al rapporto di (scarsa) fiducia che viene a crearsi fra lui e il capitano di polizia Zhang e l'unico bagliore di umanità espressa dalla "fazione criminale" si manifesta nella suggestiva scena che vede Choi riunirsi ai suoi collaboratori e struggersi in lutto…

…primo film d'azione girato da Johnnie To in Cina, probabilmente costretto per questo a muoversi all'interno di limiti produttivi ben precisi e mostrare un dipartimento di polizia irreprensibile contro dei criminali senza ritegno, ma il risultato è comunque un gran poliziesco, teso, crudo, brutale, pieno di piccole idee fulminanti nella risoluzione dei conflitti e ricco di personaggi interessanti. Senza contare che comunque, di fondo, riesce a raccontare tanto degli antagonisti infami, ma profondamente umani, quanto degli eroi sì incorruttibili, ma certo non infallibili e che commettono anzi continuamente errori dalle conseguenze gravissime. Il tutto, poi, è messo in scena in una maniera incredibile: Drug War è un film pieno di immagini splendide, ambizioso nella costruzione di scene d'azione in esterni ariose, ricche, splendidamente coreografate e in cui - pazzesco! - si capisce sempre perfettamente cosa stia accadendo, con un'attenzione fenomenale per gli spazi, le geometrie, l'evoluzione delle sparatorie, senza per questo rinunciare a un approccio serio, a modo suo credibile, lontano, come detto, dai balletti assurdi che ci si potrebbe aspettare in un film orientale di questo genere.

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Come quasi tutti i suoi film anche Drug War è un film politico, dove però il politico scivola dolorosamente nell’autoptico, film sull’autopsia del politico, autopsia folle, interminabile, che non recede, se si intende qui per autoptico proprio quella punta o fondo - grund che giace dentro il politico, parte maledetta non assimilabile alla narrazione a posteriori, alle giustificazioni in base a logiche superiori, alle trame del linguaggio. Se il politico è, infatti, il manifestarsi dato dall’incontro di più esseri e della loro concatenazione e rinsaldarsi reciproco (come il un filo dell’ordito che si intreccia con un filo della trama: è lo stato della discriminazione e dell’analisi, è il tempo della coniugazione, del linguaggio), l’autoptico sarebbe il momento ulteriore dove la trama viene sfilacciata nel groviglio confuso e infinito dei fili che la costituiscono, e, iper - ravvicinata come per allucinazione, si scompone fino a diventare bava biancastra, lacerazione, sedimento scuro dove tutto il politico precipita per ritornare alla violenza primordiale dell’interno, della lotta intestina del tutti contro tutti, prima di ogni mediazione, sintesi, stabilità dei significati…

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