la polizia vuole smantellare una rete di trafficanti di droga e, grazie a un trafficante che diventa pentito/collaboratore, riesce a trovare tanti tasselli del traffico di droga.
i poliziotti sono coraggiosi e rischiano la vita ogni momento, ma quel pentito/collaboratore fa il doppio e triplo gioco, e tiene in scacco la polizia, vuole solo salvarsi, a qualsiasi costo.
alla fine non si salva quasi nessuno, e la pena di morte chiude i conti, almeno temporaneamente.
un gran bel film, da non perdere.
buona (drogata) visione - Ismaele
QUI si può vedere il film completo, su Raiplay
…To è il Michael Mann d'oriente ed impone un ritmo solenne al
film. Satura la tensione decellerando i tempi del racconto , descrivendo
le mosse della polizia e dei trafficanti quasi con piglio documentaristico;
doppie facce ed inganni sono all'ordine del giorno, campanelli d'allarme e
anticamere di agguati , inseguimenti e sparatorie che verranno , tutti elementi
inscenati questa volta (contrariamente al solito) con il contagocce; una
guerra senza quartiere, un incubo lungo novanta minuti, “guardie e ladri” come
si faceva una volta, disposti a tutto pur di averla vinta, non importa che si
tratti di sordomuti o capitani della polizia; si fa sempre in tempo a morire.
…Non è tanto la mannaia della censura cinese ad
aver alterato Johnnie To, quanto
quest’ultimo ad essersi adattato alle sue rigide maglie: ideali per celebrare
il funerale di una cinema che non esiste più, lo stesso che nella nuova/vecchia
Cina cresce verso l’età consapevole, conserva intatta la sua stilistica
muscolarità ma rinuncia all’eroismo di fondo e inizia a contare i cadaveri che
si lascia dietro.
Non ci sono eroi in Drug War, solo pedine e galoppini
appartenenti a due sistemi contrapposti: come tali non meritano celebrazione o
approfondimento caratteriale alcuno.
Gli eroi del primo To non morivano
mai e se lo facevano venivano consegnati all’immortalità come l’Alain Delon al quale si
ispiravano.
Louis Koo non è un eroe ma un
codardo qualunque, un irresponsabile, un traditore: non merita eternità iconica
bensì la conseguenza naturale delle sue gesta prive di onore, inconciliabili
con qualsiasi codice di lealtà malavitosa.
Johnnie To è il primo a
saperlo e lo abbandona al suo stomachevole destino, lasciandolo in preda al suo
falso e disperato farneticare. Illudendolo, solo per un attimo, che una
preghiera possa ancora salvargli la vita.
…Drug War è inoltre un film fondamentale per il nuovo corso del
cinema cinese: per la prima volta il pessimismo cosmico del noir e del
poliziesco di Hong Kong non vengono colorati di rosa confetto durante il
passaggio dalla piccola città-stato alla Mainland China. Anzi, To si permette
di disquisire di droga e pena di morte, due argomenti su cui il governo
centrale di Pechino preferirebbe il silenzio mediatico e artistico. Da questo
punto di vista la sequenza finale, con la messa in scena dell’esecuzione legalizzata
tramite iniezione di veleno – dopo che il film aveva passato la precedente ora
e mezza a mettere alla berlina gli omicidi e la droga come elemento di svago
dalla realtà – rappresenta un pugno nello stomaco difficile da sopportare, e
una critica neanche troppo velata alle scelte del governo cinese. Per tutto
questo, e forse per molto altro ancora, non riconoscere la grandezza di Drug War potrebbe essere un errore di cui pentirsi amaramente
negli anni a venire…
…Non a caso
il film inizia mostrandoci il più squallido e straziante prodotto della miseria
figlia del capitalismo: gli essere umani ridotti a contenitori viventi di ovuli
di coca, ingeriti e trasportati nel ventre, poi espulsi quando (e se) si arriva
a destinazione.
Se poi, cazzo, tale espulsione ed il conseguente lavaggio degli ovuli
avvengono davanti ai miei occhi mentre mangio salmone affumicato, l’effetto
disturbante è amplificato a dismisura.
Il disturbo è durato mezzo secondo comunque, ho ripreso subito a mangiare
con gusto.
…Il racconto segue le vicende di una
squadra di polizia che, come magari il titolo potrebbe far intuire, è impegnata
nella lotta al traffico di droga. Tutto viene raccontato attraverso il punto di
vista dei poliziotti e infatti, per una volta, non ci si trova di fronte al
classico melodramma orientale tutto onore ed eleganza criminale. Gli unici
lampi di "simpatia criminosa" arrivano da Jimmy Choi, un trafficante
costretto dalla polizia a fare il doppio gioco per sostenere una complessa rete
di schemi in cui praticamente chiunque, fra poliziotti e criminali, si nasconde
dietro una maschera. Gran parte del film ruota attorno al rapporto di (scarsa)
fiducia che viene a crearsi fra lui e il capitano di polizia Zhang e l'unico
bagliore di umanità espressa dalla "fazione criminale" si manifesta
nella suggestiva scena che vede Choi riunirsi ai suoi collaboratori e
struggersi in lutto…
…primo film d'azione girato da Johnnie To in
Cina, probabilmente costretto per questo a muoversi all'interno di limiti
produttivi ben precisi e mostrare un dipartimento di polizia irreprensibile
contro dei criminali senza ritegno, ma il risultato è comunque un gran
poliziesco, teso, crudo, brutale, pieno di piccole idee fulminanti nella
risoluzione dei conflitti e ricco di personaggi interessanti. Senza contare che
comunque, di fondo, riesce a raccontare tanto degli antagonisti infami, ma
profondamente umani, quanto degli eroi sì incorruttibili, ma certo non infallibili
e che commettono anzi continuamente errori dalle conseguenze gravissime. Il
tutto, poi, è messo in scena in una maniera incredibile: Drug War è un film
pieno di immagini splendide, ambizioso nella costruzione di scene d'azione in
esterni ariose, ricche, splendidamente coreografate e in cui - pazzesco! - si
capisce sempre perfettamente cosa stia accadendo, con un'attenzione fenomenale
per gli spazi, le geometrie, l'evoluzione delle sparatorie, senza per questo
rinunciare a un approccio serio, a modo suo credibile, lontano, come detto, dai
balletti assurdi che ci si potrebbe aspettare in un film orientale di questo
genere.
…Come quasi tutti i suoi film anche Drug War è un film politico, dove però il politico scivola dolorosamente nell’autoptico, film sull’autopsia del politico, autopsia folle,
interminabile, che non recede, se si intende qui per autoptico proprio quella
punta o fondo - grund che giace dentro il politico, parte
maledetta non assimilabile alla narrazione a posteriori, alle giustificazioni
in base a logiche superiori, alle trame del linguaggio. Se il politico è, infatti, il manifestarsi dato
dall’incontro di più esseri e della loro concatenazione e rinsaldarsi reciproco
(come il un filo dell’ordito che si intreccia con un filo della trama: è lo
stato della discriminazione e dell’analisi, è il tempo della coniugazione, del
linguaggio), l’autoptico sarebbe il momento ulteriore dove la trama
viene sfilacciata nel groviglio confuso e infinito dei fili che la
costituiscono, e, iper - ravvicinata come per allucinazione, si scompone fino a
diventare bava biancastra, lacerazione, sedimento scuro dove tutto il politico
precipita per ritornare alla violenza primordiale dell’interno, della lotta
intestina del tutti contro tutti, prima di ogni mediazione, sintesi, stabilità
dei significati…
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