martedì 26 agosto 2025

Diabolik – Mario Bava

nel 1968 Mario Bava girò Diabolik, che batte sempre la polizia, e la ridicolizza, sono esiti rivoluzionari, quelli erano i tempi giusti, nel fumetto e nel film.

John Phillip Law (Diabolik), che ha un'aria di famiglia di Jude Law, Marisa Mell (la bellissima Eva Kant), Michel Piccoli (l'ispettore Ginko) sono perfettamente credibili, e bravissimi, come tutti gli attori, d'altronde, merito del regista, no?

il film ancora oggi non è invecchiato per niente, e si vede con piacere ed entusiasmo (più e meglio dei film dei Manetti Brothers, senza offesa).

guardate questo gioiellino, e godetene tutti.

buona (diabolica) visione - Ismaele


  

QUI si può vedere il film completo online

 

 


l’anarchia visiva dell’opera non è fine a se stessa. È sintomo di un qualcosa situato più in profondità. Se analizziamo il plot del film in sé, non c’è poi molto da dire; l’intera narrazione è un susseguirsi di avvenimenti sopra le righe, col nostro (anti)eroe che fugge dalle grinfie della polizia. Ma siamo sicuri che sia tutto qui?

In una delle scene più famose del film, Diabolik ed Eva stanno consumando un rapporto sotto un’infinita pila di banconote, appena rubate. L’aria che si respira, oltre alla carica erotica dell’atto in sé, è un mix tra psichedelica tranquillità e morbosa ossessione. Quest’atmosfera è praticamente presente in ogni singolo momento del film. Il crimine è inteso quindi come puro piacere fisico, quasi irrazionale, in contrasto con la meticolosa preparazione dei colpi.

Ma non è solo il sesso a rappresentare un filo conduttore. È infatti presente una gran quantità di violenza grafica. Una violenza che potremmo definire addirittura arrabbiata. La morte ha un suo peso specifico. E il tutto è ovviamente condito da quell’asfissiante morbosità di cui si parlava poc’anzi.

Ma perché si è deciso di evidenziare questi elementi? La risposta è semplice. Siamo nel ‘68. Il sesso viene finalmente slegato dalla sfera della procreazione e viene in qualche modo “istituzionalizzato” come atto di piacere. E, sempre in questi anni, assistiamo allo sdoganamento della violenza, grazie anche al cinema. Per quanto riguarda la narrazione, dal ritmo feroce e quasi estenuante, potremmo dire che è in relazione con la frenesia di quegli anni. Anni in cui un cambiamento, anche in Italia, sembrava possibile, e che invece confluirono in un decennio, gli anni ‘70, parecchio difficili per il nostro paese…

da qui

 

Il Diabolik cinematografico di Bava ispirato al fumetto dalle sorelle Giussani è in realta' abbastanza diverso dal suo omologo cartaceo differenziandosi soprattutto per non avere nessuno scrupolo ad uccidere e per un rapporto molto piu' carnale con Eva Kant(siamo sempre negli anni 60 nel fumetto la censura aveva costretto le Giussani a farli dormire in camere separate).Il film non ha struttura vera e propria ma è una sequenza di colpi uno piu' ingegnoso dell'altro con un finale nel rifugio che piu' aperto al seguito non si puo'.Curiosa la similitudine del rifugio con la bat caverna di burtoniana memoria, mentre la pop art affiora prepotente nelle bellissime scenografie.

da qui

 

…Non un grande successo di pubblico (andò meglio sul mercato francese), di seguito trovate curiosità e aneddoti sulla lavorazione nelle 11 cose da sapere su Diabolik:

1) Nella versione a fumetti, Diabolik – conosciuto anche come ‘Il Re del terrore’ – è molto più sinistro della sua controparte cinematografica: è un criminale che combatte il male con il male, spesso ricorrendo all’omicidio per “punire” i malfattori che incontra. Il film è stato realizzato assumendo una certa conoscenza del materiale disegnato alla base da parte degli spettatori, spiegando in tal modo la reazione negativa che ha inizialmente ricevuto la pellicola al di fuori dell’Italia, anche se da allora è stato rivalutato come un classico della psichedelia cinematografica e della pop art degli anni ’60.

2) Il budget stanziato da Dino De Laurentiis – 3 milioni di dollari – era molto alto degli standard ai quali Mario Bava fosse abituato e gli avrebbe permesso di lavorare con più soldi e un cast molto più prestigioso di quelli cui era normalmente abituato. Tuttavia, il regista nato a Sanremo rimase fedele ai suoi principi, puntando sull’immaginazione piuttosto che sul denaro, e portò a termine il film con una spesa sostanzialmente inferiore alle previsioni, soli 400.000 dollari (altri tempi vero?)…

da qui

 

Bava dirige volontariamente un’opera stupida, da intendere nel senso più etimologico del termine: un disvalore, senza dubbio, ma che ha comunque a che fare con il verbo latino stupēre, «stupire». E stupisce ancora oggi la totale libertà espressiva raggiunta da Bava sul finire degli anni Sessanta, la sua capacità di farsi beffe – un po’ come il criminale protagonista – delle regole del prodotto industriale, a partire dalla logica, dal rispetto ossequioso della trama, dalla capacità di trasmettere in ogni caso un messaggio morale, o comunque non privo di moralità…

da qui

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