martedì 13 ottobre 2020

Under the skin - Jonathan Glazer

Scarlett Johansson è la protagonista di questo film spiazzante, ambientato fra Glasgow e le Highlands. Scarlett, che non ha nome, è un'aliena in missione sulla terre, attira con la sua bellezza gli uomini, presi a caso, ma non è una donna, per dei motivi che non conosciamo.

gran brutta specie, quella umana, viene spontaneo pensare vedendo il film.

non ci sono tante parole, non c'è bisogno, bisogna solo guardare le immagini.

i motociclisti sembrano essere alieni complici che la scortano da lontano e la proteggono, se possono.

il finale è sconvolgente.

gran film, con pochi spettatori al cinema (ingiustamente) - Ismaele 


 

 

Under the Skin, ovvero, sotto la pelle: proprio dove è situata la vera bellezza che nessuno riesce a vedere, forse perché si è troppo superficiali, troppo libidinosi, troppo (poco) umani. Sotto la materia, sotto la carne, in quella dimensione in cui sarebbe possibile superare il desiderio fisico, se solo l’uomo riuscisse a farne a meno; nella quale ogni tentativo di penetrazione implode, collassa. Ecco che, allora, Under the Skin è già sotto il cinema stesso, proprio perché impenetrabile – sia a livello tramico che formale. E come l’alieno – interpretato da una più che mai seducente Scarlett Johansson – porta all’interno di un fatiscente monolito nero le sue vittime destinate ad affrontare chissà quale moderna odissea, Jonathan Glazer invita lo spettatore ad immergersi in questa cupa e misteriosa esperienza.

La pellicola, come il personaggio principale del film, non si concede né si apre mai del tutto, ma, piuttosto che farsi compenetrare, preferisce lasciarsi contemplare in maniera transitoria da un occhio – quello di chi assiste a questo spettacolo – disabituato a vedere o, meglio, avvezzo a guardare in modo classico ciò che si trova davanti. Ecco che allora, ancor prima di poter tradurre l’immagine, prima di toccare quella carne cinematografica, il pubblico sta già affondando. La sostanza filmica diviene (o)scura, insondabile, perché la visione, appunto, si fa abissale e ultima: poiché (già) pronta a rinnovarsi e rinascere. E così sfugge via, scivola, sprofonda in un nero liquido primordiale, uterino, da cui tutto nasce e fa ritorno, compreso il cinema, compresa l’arte…

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Le avventure dell’aliena che, mimetizzata da terrestre, scorrazza sul nostro pianeta e attira uomini, col pretesto di un passaggio e un miraggio sessuale, appare allora nella forma fuorviante di uno psycho-thriller con protagonista una serial killer che, attraverso gli omicidi, soddisfa un impulso malato, in una pura coazione a ripetere. Ma solo in apparenza, perché in realtà (una realtà che si annida nei fatti e può non essere recepita) non c’è ninfomania e non c’è psicosi: qui si dà conto dello scientifico massacro di una specie animale (vi ricorda qualcosa?) perpetrato da un’altra specie vivente per soddisfare l’effimera fame di un cibo raffinato, la Terra riducendosi a paradossale riserva di caccia. Il tutto attraverso immagini di altissima suggestione (gli omicidi si volatilizzano in dissociazioni metaforiche), momenti di malìa disturbante (l’incontro con il ragazzo deforme, quel poppante abbandonato sulla spiaggia - perché inutile allo scopo -), esaltati da un uso altamente espressionista di una colonna sonora da sturbo (non si avevano dubbi) e di un decisivo sound design, in simbiosi miracolosa con quanto mostrato…

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…Insultare “Under The Skin” è come insultare la “Mona Lisa” di Da Vinci: osano farlo solo gli ignoranti.
E non si rendono conto di quello che fanno.

Perché?

Perché Jonathan Glazer è l’unico regista nella Storia del Cinema il quale abbia tentato di avvicinarsi allo stile di Stanley Kubrick ottenendo un risultato che nessuno prima di lui (soprattutto Nolan) aveva raggiunto: ci è riuscito.

Non posso elogiare la trama più di tanto, perché lo spunto è minimo e spesso ripetitivo: un’aliena prende le sembianze di una donna (perfettamente interpretata dalla sensuale Johansson, in più di un nudo integrale) e viaggia su di un furgone spostandosi per tutta la Scozia con l’obiettivo di adescare uomini. La situazione inizierà a ribaltarsi quando la cacciatrice comincierà a scoprire la sua umanità (sia fisica che psicologica), assumendo il ruolo di preda che verrà portato a massimo compimento nel bellissimo finale innevato.

Quello che conta non è la trama, bensì le bellissime ambientazioni scozzesi (le Highlands), la colonna sonora alla Ligeti e soprattutto la superba regia di Glazer che rende “Under The Skin” uno dei più importanti e riusciti esperimenti di arte audio-visiva della Storia. Un racconto di formazione con cadenze da thriller fantascientifico, caratterizzato da un ritmo praticamente inesistente ma da un indiscutibile fascino.

È un film che ipnotizza.

Un’opera di grandissimo talento che annoierà a morte i più mentre catturerà le menti e le anime di chi crede nella potenza artistica della Settima Arte.
Inutile soffermarsi ad interpretare, a tentare di capire più di quello che il regista vuole farci capire.
Glazer ci regala un’esperienza cinematografica unica nel suo genere.
E a caval donato non si guarda in bocca…

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Il personaggio di Scarlett Johansson non è il suo corpo, ma ha il suo corpo. All’inizio del film il corpo è usato come arma di seduzione delle sue prede, ma poi, una volta guardatasi allo specchio, diventa un vestito ingombrante e incomprensibile.

Quando Scarlett Johansson si ferisce, guarda con aria stranita quella cosa rossa che esce dalle sue mani; quando mangia una torta la vomita con disgusto senza capire perché lo faccia. Insomma che cosa è questo corpo? Di chi è? Nella scena di sesso con un umano – un sesso che l’aliena vive senza capirlo, senza identificarcisi – si desta con terrore quando scopre una parte di sé di cui non sospettava l’esistenza.

L’interesse di Under the Skin non sta allora tanto nello sguardo straniato di chi sta al mondo senza farne parte, ma nell’idea di rappresentare la distanza che separa un soggetto dal proprio corpo, il fatto che – come insegna la psicoanalisi – tra i due non ci possa mai essere una soddisfacente e definitiva sovrapposizione. Tramite le vicende di questa enigmatica aliena finisce allora per venire alla luce un’efficace riflessione sul rapporto degli esseri umani con il proprio corpo. Perché non c’è cosa che definisce in modo più limpido gli esseri umani che non quella di avere un rapporto mai risolto con il corpo che ci portiamo appresso. Non capita forse a tutti quando ci si guarda allo specchio di chiedersi: “ma allora, chi siamo?”

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A estas alturas, que una película como Under the skin no haya encontrado distribución en España es un síntoma claro de cómo funciona la industria en este país. Una de las obras clave del pasado año, la última creación de Glazer no ha dejado indiferente a nadie por todos los festivales por el que ha pasado (se pudo ver en las últimas ediciones de Sitges y Gijón). El extraño argumento (Scarlett Johansson es una especie de mujer fatal que seduce a hombres al atardecer en Escocia) se ve superado por una imagen capaz de generar una verdadera ruleta rusa de sensaciones que van desde el asombro visual (sirva de ejemplo el inicio de la película, diseñado expresamente para establecer el tono de la cinta a nivel casi sensorial) hasta la repulsa (la escena de la playa es de las escenas más perturbadoras del cine reciente, y realizada sencillamente con el mínimo de elementos, sin recurrir a efectismos de género).

Under the skin es una película sorprendente, capitaneada por una Scarlett Johansson en un papel diferente al que no nos tiene acostumbrados, capaz de llevarte a rincones insospechados y crear la belleza más pura a partir de un fondo en negro que engulle el cuerpo de un hombre desnudo mientras persigue absorto la desnudez femenina. Pero todo su derroche visual no es en vano. Glazer concreta, por un lado, una serie de bajezas humanas que conforman la espina dorsal de su propuesta, como el deseo, el impulso a lo desconocido o la violencia como instinto; por otro, consigue dejar su cinta abierta al espectador y sus propias sensaciones, que serán las que le guiarán a un lugar donde caben las más variadas interpretaciones del la condición humana. Una cinta imprescindible para entender los caminos que puede tomar la ciencia ficción para salir de su zona de confort.

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…Glazer mette in scena a tutti gli effetti un film concept, dove la narrazione è al grado zero e l'importante è ciò che lo spettatore vede e percepisce attraverso i sensi dell'aliena. La sceneggiatura non spiega fino in fondo volutamente la vera ragione della cattura degli uomini (nel romanzo è esplicitato che gli umani sono cibo prelibato, catturati, mutilati e messi all'ingrasso), né chi sono gli uomini in motocicletta che assistono fin dall'inizio l'aliena (anch'essi altri alieni?). Non concede nessuna spiegazione logica né digressioni drammaturgiche della vicenda, lasciando lo spettatore sospeso nel vuoto delle immagini.
Questo si sposa con la scelta della protagonista Scarlett Johannson che diviene corpo filmico attraverso cui lo spettatore osserva il mondo e dove la macchina da presa si sofferma nella scoperta superficiale dell'involucro attoriale. Quando l'aliena inizia lentamente a essere "infettata" dalle emozioni del mondo - il cibo, il contatto fisico, i volti, i suoni, le parole, i paesaggi - perde lo scopo della missione e il suo corpo, da strumento di predazione primaria, si trasforma in scarto secondario fino all'eliminazione finale.
Se "Under the Skin" rimanesse in questo ambito si potrebbe gridare al capolavoro, ma i tanti pregi sono offuscati da molti difetti…

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…Under the Skin lancia protagonista e spettatori nel bel mezzo delle strade di una Glasgow a tinte gelide in scene improvvisate con passanti ignari che sotto la nera chioma di Laura ci sia Scarlett Johansson, investendo in egual misura con cacofonie e (fin troppo) lunghi silenzi un viaggio tra le idiosincrasie dell’umanità poco interessante e nullo dal punto di vista dell’intimismo di vittime e carnefice. La Johansson esaspera per passività e totale inadeguatezza nel passare dall’improvvisazione alle sequenze di finzione, e sebbene l’attrice americana non si faccia problemi a regalare nudi frontali alla macchina da presa, interpretazione e personaggio non interessano e tantomeno convincono.

Glazer dal canto suo applica la logica videoclippara al comparto visivo, ma si tratta di una semplice esibizione tecnica fine a sé stessa che tappa le faglie di un lungometraggio pretenzioso, vacuo e lungi dall’essere il capolavoro visionario decantato da tanta critica. Dalla A24, la casa di produzione di The VVitch e Spring Breakers, è lecito aspettarsi qualcosa di più.

 

Lati positivi

·         Regia

·         Fotografia

·          

Lati negativi

·         L’interpretazione passiva ed esasperante di Scarlett Johansson

·         Troppi silenzi, troppa lentezza ostentata

·         Sceneggiatura vacua

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Glazer è un creatore d’immagini senza eguali, di universi sonori e visivi di una stranezza e di una bellezza sconvolgenti e Under the Skin un’esperienza sensoriale che ritrascrive lo sguardo di un alieno sul nostro mondo. è un grande film sul tema dell’incontro e dell’alterità, pone uno sguardo inedito sulla solitudine e sulla mostruosità ordinaria attraverso dei ritratti maschili sconvolgenti, di ambienti urbani iperrealisti, catturati da una camera in miniatura inventata appositamente per il film. Glazer è anche il solo cineasta dopo Woody Allen a guardare veramente Scarlett Johansson, magnifica in un ruolo agli antipodi di tutto ciò che ha potuto fare finora. Come Holy Motors, Under the Skin è un film viaggio con le sue tappe, i suoi accidenti e le sue uscite di strada. È una triste odissea dei nostri tempi e un poema sulla femminilità, carico d’angoscia e di questioni esistenziali.

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…La sceneggiatura di Glazer e dell’esordiente Walter Campbell attinge al romanzo di Faber per ottenere una narrazione minimale, più lynchiana che kubrickiana nella voluta intenzione di generare domande ma non di offrire risposte. Le derive mostruose dell’universo fantascientifico di Faber vengono allora sacrificate alla messa in scena di una realtà inquietante e surreale, in bilico tra l’orrore e l’onirico, e volta al denudamento (metaforico e letterale) di una coscienza aliena alle prese con il desiderio, impossibile e dunque disperato, di esperire l’umano.

Laddove The Tree of Life di Terrence Malick aspirava a cogliere l’essenza universale del vivere umano, dalle prime cellule alla compiutezza dell’individuo, dai primi passi al violento impatto con la realtà, Under the Skin interroga piuttosto la “natura” del vivere alieno, dell’essere cioè mandati nel mondo senza libero arbitrio, con il solo scopo di assolvere una funzione dettata da altri. La cognizione del reale, ossia la percezione fenomenologica dell’”essere nel mondo” come Dasein heideggeriano, è allora per la creatura aliena incarnata da Scarlett Johansson un processo impossibile, giacché la nascita le è negata, e ad essa si oppone piuttosto la freddezza dell’assemblaggio meccanico e dell’apprendimento linguistico ottimizzato…

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