lunedì 26 giugno 2017

In ordine di sparizione (Kraftidioten) - Hans Petter Moland

un film di vendetta che cresce fino a cambiare il traffico di droga della capitale.
personaggi caricaturali come il boss della droga vegano, ma tutti sono azzeccati, e sopra tutti Stellan Skarsgard, semplicemente strepitoso.
non sarà un capolavoro, ma si fa vedere davvero bene, non privatevene - Ismaele





…quello che troviamo vincente è la macchina registica e autoriale di Hans Petter Moland e del suo sceneggiatore, che dimostrano grande maestria e una bella originalità da thriller tarantiniano di serie A, offrendo ai loro due straordinari interpreti la possibilità di costruire personaggi indimenticabili. Da non perdere.

Bellissimo! Un thrillerone condito da un filo di humour nero, che da un po' di nuova linfa vitale al cinema in generale. Scommetto che diverrà ben presto un cult negli anni a venire. Secondo me, il cinema scandinavo sarebbe un ottimo punto di ripartenza per la settima arte, visto che diverse pellicole di questa zona, sono quelle che hanno avuto più successo negli ultimi anni. Questo film, si avvale molto dell'influenza di vari artisti, quali Tarantino, vedi la violenza pulp o dialoghi molto ironici, ed anche i Cohen, per via della storia violenta con alla base la vendetta e, anche in questo caso, i dialoghi graffianti. La vicenda si svolge in luogo meraviglioso, una delle ambientazioni cinematografiche più belle di sempre, e viene tramandato proprio il messaggio che fa intendere che anche nella neve più candida e soffice si nasconde sempre il marcio e il male, dove tu non penseresti mai. Ora in realtà questo messaggio l'ho intuito io, non so se c'era veramente, ma ad ogni modo è di forte impatto. La regia, si capisce subito che non è americana, non c'è esattamente un perchè, si capisce e basta. E che regia! Bella solida, dettagliata, riprese pazzesche ed altrettanto pazzesche le diverse scene di violenza nella neve. Poi c'è suspance, il ritmo è scorrevole, la storia si fa fin da subito avvincente e non ha mai fasi di stallo o quant'altro. Poi ho trovato una magistrale direzione degli attori, incredibile, e poi anche una grandissima caratterizzazione dei personaggi. Ambientazione valorizzata al massimo, è una parte fondamentale. Si alterna benissimo l'elemento thriller con la commedia nera, stile "Le Iene" e "Pulp Fiction". Ottima la narrazione della storia, lavoro eccezionale, non c'è che dire. Ah, la fotografia è anch'essa fantastica, molto suggestiva. Si sposa perfettamente col bianco della neve. Gran colonna sonora e montaggio davvero forte e originale. Alla sceneggiatura manca qualcosa invece, delle cose vengono un po' tralasciate per strada. In compenso però i dialoghi sono epici. Il finale è stupendo anche se un tantino americano, mentre l'ultimissima scena è di una genialità unica. Il cast è eccezionale: Skarsgard è pazzesco, mentre Ganz e Hagen fanno a chi a gara a chi è più bravo. Ma Skarsgard è un'altra cosa. In fin dei conti è un rape & revenge, ma non è il solito film di questo filone. Ultima cosa, da notare l'evolversi della trama che all'inizio sembra molto semplice, mentre dopo è molto più intricata.

Kraftidioten si muove su una linea di confine portata all’estremo: riprese insistite, che durano troppo rispetto alla necessità narrativa, innesti fuori luogo, svolte improbabili (il bambino che si avvicina al rapitore, saturazione del vuoto paterno: «La conosci la sindrome di Stoccolma?»), elementi dissonanti che mettono il senso in discussione. Non solo grottesco, dunque: c’è un dubbio perenne fra due poli, un equilibrio tra farsa e dramma, con la prima che sembra prevalere salvo poi deviare all’improvviso e mostrare sofferenza vera.
Il gioco si esaurisce presto, la successione degli eventi è elementare fin quasi all’offensivo, tra mafie incrociate e rese dei conti, il meccanismo di genere viene meramente applicato senza intervento del “demiurgo”. Anche così - però - grazie alla prova ambigua di tutti gli attori (un bifronte Skarsgård, ma anche la dimessa violenza di Bruno Ganz) resta parzialmente dislocante, senza etichetta, in bilico fra registri come ragione del suo essere.

…Con tutto il bene che vogliamo a Dickman, alla sua eroica vendetta, bisogna però riconoscere che la parte spassosa del film la giocano i cattivi. La sceneggiatura alterna la sofferenza di Nils all'ironia e comicità delle due bande criminali, con dialoghi e battute memorabili. Particolare attenzione al dialogo fra due scagnozzi del Conte che discutono di welfare e tirano in ballo anche l'Italia. Tra le tante battute ben riuscite - e ben dosate - cito quella con cui Il Conte congeda il killer che gli ha appena riferito il nome del mandante in cambio di una somma di denaro: "Sei stato pagato da un cittadino norvegese". E questo basta e avanza per toglierlo di mezzo (Il Conte sarebbe un ottimo testimonial dell'agenzia delle entrate).
Dickman, come detto, è il padre violato, l'uomo comune che diventa eroe. Non c'è spazio per scherzare, ma ci sono tutti i presupposti per dissetarsi di pulp ed epos, e amalgamarli in una favola moderna. Al posto della neve il sangue schizza sul vetro della camera, mentre un dente si ferma poco prima. Si fronteggiano il fuoristrada e lo spazzaneve nuovo fiammante di ultima generazione, una specie di mostro alla "Brivido" di King, da cui Nils salta fuori al rallentatore atterrando con un tonfo sulla neve fresca. Sullo sfondo s'intravede persino la luna. Ma niente in confronto  alla sparatoria "salmoni-western" in giacca e cravatta (a eccezione del buon Dickman, sempre in tiro coi soliti pantaloni da lavoro catarifrangenti) che chiude definitivamente  il conto fra norvegesi e serbi. Proprio un gran finale con tutti i crismi, che non si priva nemmeno del "codino" catartico e nonsense: che piaccia oppure no, ha il merito di troncare sul nascere eventuali trascendenti voli interpretativi.

…Guardando apertamente al cinema dei fratelli Coen (da Fargo a Burn After Reading) Moland unisce con coerenza la commedia demenziale al nero più sanguinoso, divertendosi a caratterizzare una folle e violenta serie di personaggi, tra cui spiccano un tradizionalista boss serbo (un Bruno Ganz in forma) e il vanesio e vegano kingpin della criminalità norvegese. Dello stesso stile derivativo è anche l'attenta scrittura, riuscita sia per sviluppo narrativo (semplice ed efficace) sia per dialoghi (le riflessioni sugli stupidi "alias" dei gangster), dimostrando anche un'attenzione ammirevole per la narrazione. Forse Moland si fa prendere troppo spesso la mano con esagerazioni e ripetizioni un po’ ridondanti. Sono i rischi del mestiere quando si cerca di essere spietati senza mai prendersi sul serio.


2 commenti:

  1. Dopotutto non è male questo film, comunque visto due anni fa, che se da un lato perde il confronto con i Coen, dall'altro riesce ugualmente a divertire e intrattenere come loro ;)

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    1. i confronti ingannano e deludono, di per sé merita di sicuro

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