lunedì 28 marzo 2016

Il ritorno del figliol prodigo (Awdat al ibn al dal) - Youssef Chahine

ci sono così tante cose dentro che altri ne avrebbero fatti diversi, Youssef Chahine riesce a portare all'unità le tante vie che diventano un film solo, un gran bel film.
siamo nel 1976, Nasser non c'è più, ma una sua foto appare nel film, Ali esce di galera (ecco il figliol prodogo), Fatma l'ha aspettato per 12 anni, due giovani di diplomano, Tafida e Ibrahim, si vogliono bene, il futuro è dietro l'angolo, bisogna scegliere.
tutti i personaggi sono ben caratterizzati e profondi, da non credere prima di aver visto il film.
un film ricco, popolare e politico, duro e musical, d'amore e di tradimenti, di un regista cresciuto anche vedendo i film del neorealismo italiano.
da non perdere, promesso - Ismaele



 

 

…Awdat al-Ibn ad-Dal è un film angosciante, nonostante le sue parentesi di ironia e di musica, pervaso da un senso costante di tragedia e di disorientamento che non fa che aumentare fino all’esplosione di violenza finale: non è un caso che Malek Khouri abbia identificato questa cupa atmosfera - espressa a livello di immagine da un’illuminazione a tratti espressionista, piena di chiaroscuri, da un montaggio rapido e incalzante, senza momenti di pausa tra un cambio di scena e l’altro, nonché dal clown di brechtiana memoria che materializza il disprezzo di Chahine per la borghesia e la famiglia patriarcale che ne deriva – con la situazione di caos e perdita di punti di riferimento che, in quel periodo, caratterizzava il mondo arabo.
In questo contesto opprimente, è risultata curiosa a molti critici la scelta di Chahine di inserire all’interno della storia scene cantate e ballate molto dissonanti con il tono generale del film. L’autore ha affermato, non senza suscitare perplessità, che la sua scelta è stata dettata dalla volontà di instaurare un dialogo più semplice con il pubblico (è noto, d’altra parte, la doppia faccia popolare e d’autore del cinema egiziano, ma a noi sembra che l’effetto più evidente (anche se apparentemente non voluto) sia stato quello di aumentare ulteriormente, attraverso il forte contrasto di generi e stile, il senso di straniamento e angoscia che pervade l’intero film.

S’il y a un cinéma pluriel et multiforme, c’est bien celui de Youssef Chahine : dans Le retour de l’enfant prodigue, le spectateur rencontre tour à tour des personnages au destin digne d’une tragédie grecque, une esquisse de fresque sociale ou encore des fragments de « drame musical », dont la mise en scène et le sentiment de vie n’ont rien à envier à Jacques Demy. Nous sommes en 1976, et les idées comme les formes cinématographiques sont foisonnantes dans le cinéma de Chahine. Après la mort du héros Nasser, et au milieu des (apparemment) éternels conflits du Moyen-Orient, le cinéaste égyptien parvient à distiller l’esprit de l’époque dans une sorte de fable du désenchantement : si l’espoir réside peut-être dans les plus jeunes âmes, au moins deux générations de voyageurs, d’entrepreneurs et d’idéalistes sont condamnés à l’échec, la haine mutuelle et - c’est là le pire... - à la désillusion. Difficile de nommer « ce que » le film accuse ; le flou est volontaire, car plus le film avance, multipliant les points de vue des personnages, et moins il devient démonstratif. Ce sera au spectateur de trancher : rester dans l’indécision ou désigner un coupable. Il n’est pas impossible que la position de Chahine se réfugie elle-même dans l’excuse de l’absurdité, comme semble le montrer la fin du film. En cela, Le retour de l’enfant prodigue pourrait bien être l’une des œuvres les plus pessimistes du réalisateur, puisqu’au bilan, rien - sauf peut-être le rire de deux clowns sur fond de coucher de soleil - n’a réellement de sens…

da qui


...Tornato in patria impara il mestiere grazie a due italiani, Alvise Orfanelli (uno dei pionieri del cinema egiziano) e Gianni Vernuccio (in seguito regista del notevole Un amore da Buzzati)...

 

2 commenti:

  1. Ho avuto la fortuna di vedere altri film di Chahine, che è stato davvero grande; in particolare Il destino, che racconta in chiave musical la vita di Averroè in Andalusia ed è davvero bello, colorato, divertente e pieno di significato (un imam che incita alla guerra, il rogo dei libri...) e l'altro sull'Egitto e la vita di Giuseppe (L'emigrante), altrettanto bello (colori, immagini, attori). Questo di cui parli oggi è invece di ambiente contemporaneo, è sempre bello ma mi è rimasto meno nella memoria.
    Purtroppo la nostra critica cinematografica di oggi (vedi Marco Giusti, Tatti Sanguineti, eccetera) è tutta persa dietro la rivisitazione critica di Fantozzi e dei film di Pierino, la programmazione tv è in mano loro e i film dei grandi diventano sempre più invisibili... Chi prova a indicare qualcosa di meglio viene bollato come arrogante e noioso, che tristezza.

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    1. il mondo è grande e sconosciuto, si poteva dire un tempo, ora non più.
      è vero quello che dici, il mondo è più grande del nostro ombelico, e purtroppo non molti guardano altrove

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